“La talpa” di Alfredson è come un abito ‘made in England’. Perfetto

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“La talpa” di Alfredson è come un abito ‘made in England’. Perfetto

22 Gennaio 2012

Difficile capire oggi cosa è stata la guerra fredda. E altrettanto difficile capire perché vi sia stata in Europa una guerra parallela, combattuta all’ombra dello spionaggio. A riportarla in vita, in maniera superba, è il film “La talpa”, diretto dallo svedese Tomas Alfredson, e tratto dallo splendido romanzo dello specialista della materia, John le Carré, pubblicato nel 1974.

Siamo all’inizio degli anni Settanta del secolo passato. Budapest è una città splendida ma sonnolenta, attraversata da un fiume maestoso e crivellata dalla decadenza del comunismo. Un agente del sevizio di sicurezza inglese vi giunge per una missione sin troppo delicata. Qualcosa va storto, l’agente viene immediatamente scoperto e raggiunto da un colpo di pistola. Lo vediamo accasciarsi a terra in una pozza di sangue. Nell’azione perde la vita anche in maniera accidentale una giovane ragazza che sta allattando il figlioletto. Una tragedia. Le spie occidentali infiltrate a Budapest sono bruciate. Ma il vero incendio divampa a Londra. Il capo del servizio segreto inglese, Control, salta. E con lui è costretto a lasciare l’incarico il suo braccio destro, George Smiley (Gary Oldman).

Un avvicendamento naturale, determinato dal clamoroso fallimento. Tutto sembra logico. A certi livelli non si può sbagliare. Eppure qualcosa non torna. Perché l’operazione di Budapest è naufragata? Il sospetto del governo inglese è che nel gruppo di comando dei servizi segreti londinesi si annidi una “talpa”, un agente che fa il doppiogioco, fornendo notizie ai sovietici. Naturalmente qualcuno deve svolgere una inchiesta parallela, e non può essere chi attualmente comanda. Quindi a George Smiley viene chiesto di condurre un’inchiesta segreta, per arrivare ad identificare la “talpa”. La ricerca sarà lunga, difficile, intricata, pericolosa. E alla fine dolorosa. Ma la “talpa” va trovata a tutti i costi. Non è facile seguire il film di Tomas Alfredson. Il tempo si interseca, in un andirivieni di scene e dettagli altalenanti tra il passato (l’operazione di Budapest) e il presente.

I protagonisti sono gli stessi, i loro capelli e i loro volti non hanno cambiato fisionomia. Vestono alla stessa maniera e le macchine appartengono alla stessa epoca. Ma la sostanza del racconto è sin troppo palese: il bene contro il male; l’onesto contrapposto al traditore; la spia buona separata da quella cattiva. Sembra un vecchio film spionistico degli anni Settanta “La talpa”. Colori dimessi, nessuna dinamicità, poco sangue, nessun inseguimento. Il tempo trascorre lento. Le parole scorrono lente. Le spie vivono nell’ombra. E gli agenti dei sevizi segreti non hanno la fisicità di James Bond, né gli abiti tagliati da Brioni, né le ragazze mozzafiato. Quando vanno in albergo non ne scelgono uno di extralusso, con camere comode e ampie. Si accontentano di una modesta pensioncina fuori mano. Di Aston Martin neppure l’ombra, sostituite da autobus a due piani, macchine scassate e la più rapida metropolitana. Il romanzo di Le Carré era già stato trasportato sullo schermo. Sul piccolo schermo, per una serie televisiva interpretata dal grande attore inglese Alec Guinnes.  

È pressoché impossibile trovare in “La talpa” un pur minimo difetto. Gli attori, dal sereno e compassato Gary Oldman al gaudente e disinvolto Colin Firth, aggiungono credibilità e leggerezza alla storia. Anche l’intreccio narrativo è impeccabile. Basti soltanto ricordare l’intelligente espediente di ammorbidire, in più occasioni, la durezza degli avvenimenti con situazioni sentimentali complesse, che spesso s’incanalano sulla strada romantica e talaltra sulla strada del dolore determinato dagli amori traditi. Il dramma finale scorre leggero sulle note di una melodica canzone francese. “La talpa” è un abito classico, “made in England”. Un abito sempre di moda.