Quasi amici, un film in bianco e nero pieno di vita, amicizia e risate
10 Marzo 2012
Dal cinema francese, ormai da anni, ci arrivano tre tipologie di film. Opere di ambientazione storica, spesso impeccabili e sofisticate; opere di denuncia, spesso sin troppo crude (e talvolta crudeli); commedie, spesso esilaranti. Come definire “Quasi amici” di Olivier Nakache e Eric Toledano, che sta ottenendo in Italia un eccellente successo (in Francia il trionfo è stato clamoroso), difficilmente prevedibile? Una commedia, certo. Una divertente e istruttiva commedia dai risvolti sociologici. E soprattutto dai risvolti morali. Andiamo per gradi.
Cominciamo dalla storia. A raccontarla si rischia di dar conto di un intreccio banale quanto furbo. Philippe è un miliardario tetraplegico. Un incidente durante una sessione di sport estremo gli ha bloccato l’intero uso del corpo. Tranne la testa, che funziona forse più e meglio di prima. Il resto è immobilità totale. Fortunatamente è ricco sfondato. E può permettersi ogni cura. Un esercito di dipendenti, assistenti e collaboratori lo veglia ventiquattro ore al giorno. In particolare Philippe ha bisogno di un guardiano in perenne servizio. Alla selezione per assegnare il nuovo posto di lavoro si presenta una squadra di competenti e motivati (ognuno a modo suo) professionisti. Dovranno accudirlo, spostarlo, lavarlo, fargli fare fisioterapia e altre poco piacevoli ma necessarie operazioni quotidiane. Fra loro c’è un longilineo e prestante senegalese, Driss. È uno dei tanti figli d’Africa approdati nella Francia postmoderna un po’ per caso, un po’ per necessità. Vive in una “banlieu”, tra tetri casermoni, droga, violenza, emarginazione. Ha fatto un po’ di galera e ha famiglia con troppi figli, sulle spalle di una madre troppo sola e sfinita dal lavoro. Si è presentato al colloquio per un ruolo di badante non per trovare un’occupazione. Deve solo raccogliere una firma per ottenere il sussidio di disoccupazione. Ma Philippe è intrigato da quel giovanottone, assai maleducato, privo di freni inibitori, con una fedina penale non immacolata e un sorriso contagioso. Vuole lui al suo fianco. Un errore madornale? Philippe sa che i professionisti gli garantiranno un linguaggio (e un trattamento) “politicamente corretto”. Stipendia profumatamente la loro disponibilità e pietà. Driss invece è quello che è, e se gli scappa una battuta sul posteriore di una ragazza, o una sulla impossibilità a muoversi del datore di lavoro, se la lascia scappare e ci ride sopra. Inoltre se c’è un problema lo affronta partendo dalle mani.
L’immobilità del corpo di Philippe è l’equivalente dell’immobilismo e della decadenza della vecchia Europa bianca, ricca, intellettuale, nobile. Driss invece è la povertà zeppa di problemi, sul bordo della disperazione, ma energica, forte, vitale. Philippe adora la musica classica e la pittura classica al pari di quella astratta; Driss si scatena su ritmo della musica tecno e se si mette a dipingere (non sapendo dipingere) fa esplodere l’animalità così come l’aveva fatto deflagrare un grande artista, figlio di Brooklyn, Jean-Michel Basqiat. Messa in questi termini “Quasi amici” può sembrare una favola scontata. Il ricco ha bisogno del povero come il povero del ricco. C’era però una sola strada per saltare le ovvietà di un simile intreccio: far ridere. E i due registi, grazie ai due attori appropriati quanto superbi (François Cluzet e Omar Sy), riescono, attraverso l’umorismo, a far dimenticare differenze abnormi, ruoli sociali, aspettative di vita. Alla fine è meglio dimenticare implicazioni sociali, ideologiche, culturali, razziali, comportamentali, e concentrasi su un fatto: il film è un inno alla vita e all’amicizia. Poiché le disgrazie, anche le più terribili, si superano scommettendo sul valore della vita e coltivando il bene più prezioso nelle mani degli uomini, l’amicizia.