Da liberali a post comunisti, storia di una parabola intellettuale e politica
14 Luglio 2007
Il lungo e
commosso articolo che Giuliano Ferrara ha dedicato alla scomparsa della zio
Giovanni («Il Foglio», 8 maggio 2007) pone, sia pure in un breve passaggio, un
problema storico e politico di notevole importanza: come sia avvenuto che una
parte non secondaria della cultura liberale degli anni Cinquanta o – che è lo
stesso – dell’anticomunismo democratico di quegli anni, abbia concluso la sua
navigazione nei mari della politica italiana, approdando a una specie di
«liberalismo postcomunista». Questa è stata la parabola di Giovanni Ferrara,
«il liberale lamalfiano e spadoliniano (…) fattosi diessino, maestro amato dei
circoli laici e cattolico-democratici che stanno ora tentando la via del nuovo
partito, fusione di un certo Pci e di una certa Dc», le due forze che aveva
combattute per tanti anni a suo modo. Ma analoga risulta anche quella di
filosofi, letterati, uomini dell’economia, della finanza e della politica
provenienti dal medesimo ambiente, e –
se vogliamo guardare alle varie realtà periferiche – di non trascurabili frange
delle élites locali (e dei loro
eredi) che, fra il 1950 e il 1980, contrastarono spesso vivacemente la presenza
politica e culturale della sinistra comunista nelle loro zone.
Una prima
risposta emerge con una certa ovvietà: costoro avrebbero riconosciuto i
mutamenti avvenuti nel vecchio avversario, la liquidazione, da parte sua, di
ogni scoria vetero-comunista e %E2