In Romanzo di una strage Giordana inventa molto e ricorda poco la verità storica

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In Romanzo di una strage Giordana inventa molto e ricorda poco la verità storica

31 Marzo 2012

“Romanzo di una strage” di Marco Tullio Giordana innanzitutto è un film. E come un film deve essere innanzitutto valutato. Senza commettere l’errore  di sovrapporre il giudizio ideologico su quello tecnico, poiché i due discorsi conducono a conclusioni molto, troppo differenti. Quindi partiamo dal film. È una delle migliori opere realizzate dal cinema italiano negli ultimi anni. Un film equilibrato, ordinato, misurato. Lavoro di grande professionalità. I due principiali attori sono più che convincenti e il film di Giordana ha un respiro internazionale, sprovvisto alla stragrande maggioranza delle produzioni italiane, oscillanti tra commedie e commediole o asfittiche opere di denuncia chiuse tra quattro mura.

Esaurito lo spazio del giudizio formale – ripetiamolo ancora, di grandi qualità – affrontiamo gli aspetti non attinenti alla confezione, ma al contenuto dell’opera. I principali  protagonisti di “Romanzo di una strage” sono due italiani non frutto della finzione, ma uomini in carne e ossa realmente esistiti. Un anarchico, il ferroviere Giuseppe Pinelli (interpretato con grande efficacia da Pierfrancesco Favino), e il commissario di polizia Luigi Calabresi (interpretato con forse ancora maggiore precisione da Valerio Mastrandrea).  Bisogna tessere un secondo elogio del film di Giordana, poiché ci mostra il ritratto di due brave persone, onesti lavoratori, padri di famiglia sfortunati. Ovviamente rappresentanti di due mondi agli antipodi, un anarchico e un poliziotto. Il destino volle che le loro vite si intrecciassero in maniera drammatica. E che la morte di Pinelli determinasse la morte successiva di Calabresi.

La lotta politica in Italia negli anni Settanta del secolo passato stava divampando, causando lutti e disgrazie immani, ancora oggi difficilmente comprensibili. Una nebulosa grondante di sangue era calata sul paese. Una cortina ferrea, di piombo venne definita, spaventosamente criminale. Il film di Giordana ruota attorno alla strage causata dalla bomba depositata nell’agenzia di una banca milanese il 12 dicembre 1969, in piazza Fontana. E qui cominciano i problemi del film, poiché Giordana non è interessato a raccontare la drammaticità degli eventi, ma vuole entrare nel merito del “mistero” di Piazza Fontana. Nel “grande mistero”, uno dei tanti “misteri” seminati nella recente storia italiana. Non essendoci nessuna verità ufficiale (poiché le varie inchieste e i vari processi riguardanti il crimine non hanno prodotto niente) Giordana propone una sua verità. Del resto anche quando ci sono delle verità ufficiali, la pubblicistica e la cinematografia italiane se ne infischiano. Qualche anno fa lo stesso Giordana dedicò un film al poeta Pier Paolo Pasolini (“Pasolini. Un delitto italiano”, 1995). Il regista rilesse gli atti processuali, i commenti, le dichiarazioni. Interrogò nuovamente i testimoni. E riscontrò confusioni, contraddizioni, incongruenze. Da tutto ciò dedusse che Pasolini era stato ammazzato in maniera diversa rispetto alla versione ufficiale (un omicidio a sfondo omosessuale). Un altro “grande mistero”, come piazza Fontana. Nessuno avvertiva il bisogno di questa nuova lettura della strage di Milano. Sullo schermo vediamo che  le bombe depositate in realtà furono due: una portata dall’anarchico Pietro Valpreda, la seconda portata dai neofascisti veneti in combutta con i servizi segreti. Giordana è libero di pensarla come vuole. Ma aggiungere altra carne al fuoco serve solo ad aumentare la confusione.

In Italia negli anni della “strategia della tensione” non è mai esistito un “doppio stato”. Sono dimostrabili sul piano storico debolezze della politica, giochi poco ortodossi di organismi della sicurezza nazionali e internazionali, e altro ancora. Ma furono l’eccezione e non la regola, e la legalità, in tutti i settori, non venne mai meno. Il terrorismo di sinistra e di destra è figlio della storia italiana, covato e cresciuto in alcune famiglie politiche, non cattoliche, liberali e socialiste. I “grandi misteri” (le morti di Pasolini, di Moro, piazza Fontana, ecc.), le dieci, cento, mille verità, ad ogni tappa riaggiustabili, rivedibili e quindi sempre nuove, all’infinito, servono solo a confondere responsabilità storiche ben precise. Purtroppo con grande probabilità non sapremo mai, oggettivamente, chi è stato a mettere la bomba a piazza Fontana. Ma sappiamo bene da dove viene il terrorismo, come è nato, cresciuto, come ha colpito e come è finito.

Nel film Giordana ci mostra come l’editore-miliardario-guerrigliero Giangiacomo Feltrinelli potesse tenere all’università di Milano un’affollata lezione agli studenti, sull’imminenza del “golpe” in Italia (che non ci fu) e sulla necessità di armarsi in vista dello scontro. Feltrinelli è uno dei tanti “cattivi maestri” di un tempo sciagurato, morto accidentalmente mentre stava armeggiando con l’esplosivo nel corso di un attentato terroristico (c’è chi giura che si tratta di morte inscenata, altro “grande mistero”).

Un ultimo punto del film di Giordana va ricordato, ed è l’aspetto peggiore. Luigi Calabresi fu ucciso dopo una lunga campagna di stampa, che l’indicava come il responsabile della morte dell’anarchico Pinelli. Un giornale si distinse nella campagna: “Lotta Continua”. Ci furono anche un nutrito gruppo di fiancheggiatori, intellettuali e artisti (quasi 800!), firmatari di un manifesto contro il “commissario torturatore”. Calabresi fu ucciso da un commando di terroristi, e così Pinelli fu vendicato. Poi tempo dopo, molto tempo dopo, le rivelazioni di un pentito portarono all’arresto e alla condanna definitiva dei responsabili dell’omicidio, tra cui c’è Adriano Sofri. Ebbene tutto questo nel film non si vede. Di sfuggita il commissario lo vediamo in terra, colpito a morte. Poi fine del film. La carrellata dei personaggi storica è stata ampia: Moro, Saragat, Rumor, il principe Borghese, Freda,  Ventura, e un centinaio di protagonisti dei quali solo chi ha i capelli bianchi in sala è in grado di capire chi sono e cosa rappresentano.

Perché non ci vengono mostrati gli esecutori dell’omicidio Calabresi? Perché non ci viene mostrata la delusione, lo sbigottimento del commissario nel leggere i nomi posti in calce (e che nomi!) all’appello? La condanna è definitiva. L’appello è facilmente reperibile (lo pubblicò “l’Espresso”). Non li vediamo perché quei nomi ancora oggi imperversano nel mondo dei media, e guidano l’opinione pubblica. Caro Giordana come è facile inventare teorie nuove e come è difficile ricordare verità note a tutti.