“Dark Shadows” è un piccolo gioiello e Johnny Depp il vampiro più fico del mondo
13 Maggio 2012
Il conte Dracula nasce in Europa, nella seconda metà dell’Ottocento. Ma per diventare davvero il conte Dracula, l’unico Signore, il Re incontrastato dei morti viventi, delle creature della notte assettate di sangue, deve trasferirsi nella nuova Europa, l’America. Questo assunto è visualizzato, in maniera impeccabile, nell’entusiasmante apertura di “Dark Shadows” di Tim Burton.
Dalla modernissima Inghilterra, patria della rivoluzione industriale, salpano i Collins. Devono raggiungere la Nuova Inghilterra, nel Maine, per impiantare una moderna fabbrica per la lavorazione del pesce. Faranno fortuna i Collins. Diventeranno ricchi, straricchi. La città dove si sono insediati addirittura porterà il loro nome (Collinsport). Lì decideranno di costruirsi un grande, meraviglioso castello: un pezzo della loro radici, trapiantato nella nuova terra. Il figlio ed erede della famiglia, Barnabas (Johnny Depp), ha tutto. Ricchezza, potere, fama, bellezza. S’innamora di una splendida fanciulla, Josette. Ma ha commesso l’errore (involontario) di intrattenersi con la domestica, Angelique. La ragazza lo adora sin da bambina. Da sempre ha posto su di lui il suo sguardo protettivo e passionale. Non vive che per lui. E non sopporta il tradimento. Per fargliela pagare si trasforma in una strega, dai poteri malefici e assoluti. Prima uccide i genitori di Barnabas; poi spinge al suicidio Josette, infine condanna l’amato in un morto vivente, un vampiro, che imprigiona, ben incatenato, in una bara, seppellita in una fossa profonda.
Pratica chiusa? Certo, per un bel po’ di tempo. Sino al 1972. Lavori di scavo rendono finalmente la libertà al vampiro. Barnabas è stato uomo, ma non ha potuto mai sperimentare il dolore e la disgrazia della vita alla quale è stata sottratta la morte. Dopo quasi duecento anni si ritrova spaesato e frastornato negli effervescenti e trasgressivi anni Settanta. Barnabas vede una grande scritta luminosa, a forma di M, e la scambia per il sigillo di Mefistoele. Ma è solo l’insegna di un McDonald’s. Tornato al castello degli avi, lo trova diroccato. La famiglia è ridotta sul lastrico, soppiantata dall’intraprendente e spregiudicata concorrenza di Angie (reincarnazione di Angelique), bella, aggressiva, ostinata a cancellare ogni traccia dei Collins da Collinsport. Adesso gli elementi ci sono tutti.
Come il Conte di Montecristo, Barnabas dovrà dare battaglia. Una battaglia spettacolare. Non sempre a Tim Burton i film riescono, anche se gode di fiducia, spesso illimitata e soprattutto indiscutibile, fra il nutrito esercito di ammiratori, semplici spettatori o interpreti di varia originalità. “Dark Shadows” è un piccolo gioiello, carico di leggerezza e buonumore, qualità formali e spettacolarità. Basato su una fortunata serie televisiva andata in onda sul finire degli anni Sessanta (quando alle serie televisive mancava la finezza narrativa di oggi), il film di Burton si riallaccia al filone “sempreverde” dei vampiri, in voga sin dalle origini del cinema, e che con la saga di “Twilight” negli ultimi anni ha conosciuto una fortuna commerciale mostruosa.
Se in “Twilight” i vampiri hanno il fascino dell’adolescenza, in “Dark Shadows” posseggono quel tanto di strampalato, irriverente, sconclusionato (ma divertente) della famiglia Addams, rimodellata sull’estetica pop e kitsch degli anni Settanta, incarnata dalle lampade con le bolle rosse galleggianti, la copertina rossa e blu di “Love Story” di Eric Segal, i capi di vestiario, ricchi di velluti dalle tonalità viola e bordeaux, indossati dai dandy a passeggio nella Swingin London. A tutto ciò viene aggiunta una colonna sonora d’epoca, a tratti spettacolare. E, su tutto ciò, regna sovrano Johnny Depp. Il vampiro (ad oggi) più fico della storia del cinema.