All’interno della riforma del lavoro le parti sociali “rivitalizzino” l’art.8
17 Aprile 2012
Elsa Fornero ha dichiarato che se il disegno di legge sul lavoro sarà stravolto il governo andrà a casa. Non è una dichiarazione corretta. Infatti se il governo avesse voluto mantenere intatto il proprio testo, avrebbe dovuto presentare un decreto legge e porvi la fiducia. Ha preferito il disegno di legge, proprio per consentire al parlamento di effettuare quegli emendamenti che esso ritiene utili. D’altra parte, la nozione di “modifiche che stravolgono il testo” non può essere lasciata alla discrezione del ministro del Lavoro. Essa coinvolge il programma del governo e le richieste che, dallo scorso anno, ci vengono rivolte, dalla Banca Centrale Europea e dalla Commissione Europea e che, ora, ci indirizza altresì il Fondo Monetario Internazionale.
Si tratta, in sintesi, di fare una riforma che consenta alla nostra economia una maggior crescita economica, liberando le forze del mercato. Le tutele del lavoro vanno considerate dal punto di vista della dignità umana, della garanzia di un sostegno nel caso di perdita del posto di lavoro, ma anche del diritto a fare il proprio contratto di lavoro, nel quadro di una apertura generale dei mercati, che favorisca il pieno impiego. Questo diritto riguarda i lavoratori e le imprese. E’ un diritto economico e sociale, è innanzitutto un diritto della persona umana. Se il lavoro non è una merce, ma un attributo della persona, il contratto di lavoro non può esser stabilito con una unica formula e una unica modalità, dal legislatore o dai sindacati nazionali. Non ha alcun senso, nella prospettiva del lavoro, come scelta personale, che i contratti a termine o stagionali o part time o quelli di lavoro autonomo con partita IVA siano penalizzati, rispetto a quelli a tempo indeterminato. Ci deve essere la libertà di scelta. Dal punto di vista delle imprese, vale la stessa considerazione, se si vuole che si sviluppino le iniziative imprenditoriali e la produttività. Le tutele dagli abusi sono necessarie, ma è un errore concepirle come uno strumento semi occulto, allo scopo di fare rientrare dalla finestra quelle rigidità, che erano state espulse dalla porta. Se c’è la flessibilità in uscita, poca o tanta, essa va resa certa, non può esser lasciate a un giudice che deve decidere sulla base di regole discrezionali.
Dunque, la linea degli emendamenti che non stravolgono, ma migliorano il testo del disegno di legge sul lavoro, è chiara: si tratta di quelli che accrescono la flessibilità e, nello stesso tempo, eliminano le incertezze sul contenuto delle norme, miranti a ridurre la portata della flessibilità che esse concedono. E ciò in base al principio, che è ora compito del governo affrontare di petto: quello che le riforme vanno orientate alla politica della crescita, per combattere la recessione e migliorare il rapporto debito/Pil sul lato del Pil oltre che sul lato della riduzione progressiva dei deficit di bilancio sino ad azzerarli. L’Italia sta adottando la regola costituzionale del pareggio del bilancio, con un testo che si presta a varie interpretazioni. Ma sta anche per firmare un accordo europeo che accompagna il principio del pareggio, con il principio della riduzione de debito, in una percentuale annua, che non può essere conseguita, se non si rispettare la regola del pareggio, senza stratagemmi. Da ciò consegue che la crescita del prodotto nazionale non potrà essere conseguita con la politica keynesiana del deficit e che il pieno impiego non potrà essere ottenuto mediante le vecchie pratiche dello stato assistenziale e del monopolio nazionale dei contatti di lavoro, da parte delle organizzazioni sindacali e di quelle imprenditoriali.
Dunque, se il bilancio pubblico deve essere ispirato ai criteri non kyenesiani, ne consegue che il sistema economico, per crescere, deve obbedire alle regole del mercato. E fra queste regole, ci sono quelle sulla liberalizzazione del mercato del lavoro, assieme alle altre liberalizzazioni. E’ importante notare che mentre il parlamento, nel caso del decreto sulle liberalizzazioni dei servizi, operò soprattutto per contenere la portata di alcune regole, che introducevano maggiore concorrenza, nel caso dl disegno di legge sul lavoro si prepara a svolgere una azione in senso opposto. Gli emendamenti parlamentari mirano ad accrescere la liberalizzazione di questo mercato, sono, dunque migliorativi. E lo sono anche dal punto di vista del nuovo obbiettivo, che ora il governo affronta, quello delle politiche pro crescita. Non tutto però compete alle riforme legislative. Molto compete alle forze sociali.
La Confindustria, che si è attivata, per ottenere che il parlamento emendi il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro, nella direzione di una maggior flessibilità, ha anche un compito proprio in tale ambito: quello di far rivivere l’articolo 8 del decreto di agosto, che essa medesima ha sterilizzato con un accordo con i sindacati nazionali, inducendo il gruppo Fiat auto ad uscire da Confindustria. In questi giorni Fiat inaugura in Serbia un nuovo stabilimento di produzione di Fiat 500. Ikea però sposta dalla Cina all’Italia alcune sue produzioni. Le parti sociali debbono riflettere su questi episodi e riprendere il tema dell’articolo 8, che riguarda la contrattazione aziendale. Occorre integrare la riforma nazionale, attuata per legge, con i cento fiori della contrattazione aziendale, affiancare alla legge, il contratto.