Libano, la lunga estate calda dell’Unifil
18 Luglio 2007
Il lancio di tre katyusha
contro Israele il 17 giugno, il tragico attentato costato la vita a sei caschi
blu dell’Unifil il 24 giugno e l’esplosione del 16 luglio che ha colpito,
fortunatamente senza gravi conseguenze, il contingente della Tanzania nella
zona di responsabilità italiana, avrebbero dovuto imbarazzare la carovana di
politici, giornalisti ed ex-ambasciatori che si sono di recente recati a
Damasco per cercare di ottenere una maggior collaborazione siriana. E avrebbe
dovuto insegnare prudenza a chi, in Libano e a Roma, insiste a dire che nel sud
del Libano non sono state introdotte armi dalla fine del conflitto dell’estate
scorsa.
Il rapporto della
commissione indipendente per la valutazione del confine libanese (Libat) e il
rapporto del Segretario Generale dell’Onu Ban Ki Moon sull’attuazione della
risoluzione 1701, presentato al Consiglio di Sicurezza il 27 giugno scorso e
non ancora pubblicato, mettono in luce – ancorché nel linguaggio ovattato
dell’Onu – una situazione potenzialmente esplosiva. A questo si vanno ad
aggiungere le due recenti notizie di un coinvolgimento diretto di Hezbollah
nella guerra in Iraq al servizio degli iraniani contro truppe statunitensi e la
cattura in Turchia di un carico d’armi destinato con tutta probabilità a
Hezbollah, su un treno in transito tra l’Iran e la Siria e colpito da un
attentato del Pkk.
Il rapporto Libat indica
come, nonostante l’evidenza lampante di ogni tipo di traffico di contrabbando,
nessuno dei testimoni abbia riportato un singolo incidente di violazione del
confine, di qualsiasi tipo. Strano, specie da parte siriana, visto che i
siriani sostengono che i miliziani di Fatah al Islam asserragliati nel campo di
Nahr el Bared sono al-Qaidisti, che la presenza di al-Qaida in Libano minaccia
anche la Siria e che i miliziani (molti dei quali, a detta dell’esercito
libanese, erano sauditi), sono giunti in Libano attraverso il confine libanese.
Ancor più strano, perchè i siriani hanno denunciato numerose violazioni del
loro confine in una lettera indirizzata alla presidenza del Consiglio di
Sicurezza dell’Onu e al segretario generale, in cui offrono dettagliate
informazioni su supposte partite d’armi fatte entrare in Siria dal Libano. Se i
siriani sostengono che il traffico d’armi avviene dal Libano alla Siria a loro
scapito, come possono aver detto alla Libat che non sono a conoscenza di
nessuna violazione del confine?
A tutti, certo, fa comodo
dire che il conflitto a Nahr el Bared, le bombe contro l’Unifil e le katyusce
contro Israele sono tutti incidenti riconducibili ad al-Qaida. Alla Siria fa
comodo per ergersi a protettore del Libano e soprattutto per dimostrare la sua
innocenza. A Hezbollah fa comodo per sostenere la propria estraneità al fatto e
il proprio impegno ad adempiere le risoluzioni Onu sul Libano. All’Unifil fa
comodo per evitare un confronto diretto con Hezbollah. E ai leader politici
europei le cui truppe sono schierate in Libano fa comodo per non dover prendere
una posizione più decisa nei confronti di Damasco.
Si è distinto in questo
senso il nostro ministro della Difesa Arturo Parisi, che in una recente
dichiarazione ha voluto attribuire l’attentato a “una
frangia estremista dello stesso movimento Hezbollah, frangia che si muoverebbe
in contrasto con la leadership ufficiale. Un’ipotesi alternativa è quella che
vede l’attentato come promosso da un gruppo terroristico rivale di Hezbollah,
nel caso riconducibile a gruppi d’ispirazione salafita, riconducibili ad Al
Qaeda, gruppo che avrebbe operato in tal modo proprio per far rivedere la
responsabilità sul ‘partito di Dio’”. Hezbollah lo ha subito smentito,
prendendolo anche un po’ in giro, chiedendo infatti prove concrete sulla
supposta quinta colonna all’interno dell’organizzazione.
Il problema di
chi cerca scuse è che la realtà è troppo brutta da affrontare. E in questo
senso i rapporti dell’Onu la dicono lunga sui rischi che si presentano
quest’estate.
rifiuta di demarcare il confine con il Libano, rendendo la situazione nella
zona delle Shaba Farms potenzialmente esplosiva. Il flusso d’armi continua e il
rapporto non smentisce quanto sostenuto dal governo libanese, secondo cui la
Siria stia riarmando i gruppi terroristi palestinesi del Pflp-Gc e di
Fatah-Intifadah nella valle della Beqa’a. Il rapporto cita esplicitamente
operativi di Hezbollah intenti a fotografare e a filmare le forze Unifil.
Indica come il propagarsi delle aree di tensione militare stia mettendo a dura
prova l’esercito libanese e sminuendone quindi la capacità operativa nel Sud
del Libano. Cita una serie di episodi provati di violazioni delle risoluzioni
Onu 1559 e 1701 da parte della Siria e di Hezbollah e mette in guardia contro
nuovi incidenti, indicando la presenza di armi sul territorio sotto il
controllo dell’Unifil. Cita gli attacchi e gli attentati contro obbiettivi
civili e politici in Libano. Cita il rifiuto di Hezbollah di adempiere
l’obbligo secondo le risoluzioni 1559 e 1701 di disarmare la propria milizia.
Su tutto
questo fa capolino la notizia del ruolo di Hezbollah in Iraq, non come scheggia
impazzita e autonoma nel mosaico sanguinoso di quel paese, ma come elemento
integrato delle Guardie Rivoluzionarie iraniane nel loro gioco contro
l’America. Gli arresti di membri di Hezbollah in Iraq e le informazioni
raccolte sulla loro attività lasciano pochi dubbi sulla simbiosi tra Hezbollah
e l’Iran e sul ruolo che la Siria gioca da coadiuvante in questo complesso
confronto regionale sempre più condizionato da un’asse siro-persiana impegnata
su più fronti – Libano, Iraq e Gaza – a contrastare l’Occidente e i suoi
alleati regionali.
A fine agosto
si rinnova il mandato Unifil per il prossimo anno. E’ da auspicare che i paesi
partecipanti – Italia in testa – non facciano come il contingente spagnolo, che
ha risposto all’attentato del 24 giugno cercando una maggior coordinazione con
Hezbollah. Occorre invece cercare un mandato più robusto e aggressivo, che dia
i mezzi all’Unifil per attuare per davvero le risoluzioni 1559 e 1701 e mandi
un duro monito a Damasco e Teheran.