Per scongiurare il pericolo contagio il governo rilanci l’economia italiana
12 Giugno 2012
Il prestito di 100 miliardi alla Spagna per l’intervento a favore delle sue banche, che al momento hanno bisogno di 40 miliardi, per ricostituire il loro capitale, a fronte di perdite sui mutui immobiliari non è servito a generare una ascesa della borsa e una riduzione dello spread sui titoli spagnoli ed italiani, anzi dopo una prima ventata di euforia, ha dato luogo a un rimbalzo nel senso contrario. Il mercato di base è volatile, disorientato. E su ciò si innesta una speculazione erratica.
Ad esempio lunedì mentre c’era una reazione sfavorevole sui titoli pubblici e su quelli bancari dell’euro zona, l’euro aveva guadagnato terreno sul dollaro. Questa volta si è messa a disposizione una cifra più che doppia di quella adesso necessaria, per evitare il precedente della Grecia: in cui centellinando gli aiuti si è finito a spender molto di più che se si fosse provveduto inizialmente in modo massiccio. Ma anche in questo caso si è agito male e in ritardo. L’indugio ha deteriorato la situazione delle banche spagnole. Sino a poco tempo fa il calcolo del fabbisogno per ricapitalizzarle era minore, perché una parte delle perdite deriva dal continuo sgonfiamento del mercato degli immobili, che riduce le garanzie che le banche possono recuperare. E l’incertezza ha generato un massiccio ritiro di depositi dalle banche spagnole di oltre 100 miliardi fra aprile e la prima decade di giugno.
Dunque stretta del credito e nuove perdite di valore degli immobili e nuove insolvenze. Il prestito di 100 miliardi alla Spagna per la ricapitalizzazione delle sue banche si è rivelato un boomerang per le modalità con cui è stato effettuato, che non sono ancora chiare. Non si sa se esso è stato effettuato con uno strumento imperfetto, non dotato di una chiara competenze al riguardo come il Fesf (Fondo europeo di stabilizzazione finanziaria), che dovrebbe operare solo interventi per i governi, ma non ha privilegi di riscossione del credito o con il MES (Misura europea di stabilizzazione ) che dovrebbe essere in vigore da luglio, che ha competenze più ampie, ma che eroga prestiti con priorità sugli altri. E in ogni caso l’intervento è stato fatto mediante il coinvolgimento, strutturalmente errato, del governo di Madrid , con effetti incerti riguardanti il suo debito pubblico. Infatti il fatto che questo prestito sia stato dato al governo spagnolo, su sua richiesta, anche se destinato al Frob, il Fondo di ristrutturazione bancaria , della Spagna , potrebbe comportare che esso formalmente vada a incrementare il debito pubblico della Spagna, con un effetto negativo di 10 punti sul suo rapporto debito/Pil.
Se a ciò si aggiunge il fatto che esso sia erogato dal MES anziché dal Fesf potrebbe implicare che esso abbia una priorità di riscossione, su ogni altro debito del governo spagnolo, in conformità allo statuto del MES si può capire perché questo intervento abbia generato effetti negativi sul debito pubblico spagnolo. Si tratta di uno schema artificioso, in quanto nel regolamento specifico riguardante il prestito europeo per le banche spagnole, si stabilisce che le ispezioni europee non riguarderanno il bilancio del governo spagnolo, ma quelli delle banche beneficiarie e che sarà il soggetto che offre il prestito a stabilire se e quando e in che misura erogarlo al Frob, per gli interventi a favore delle banche. Si tratta, insomma, di una operazione bancaria, che riceve, una veste di operazione di finanza pubblica, per motivi puramente formali, il che è paradossale: invece che privatizzare, si statizza, con conseguenze negative sulla solvibilità della Spagna.
Tutte queste complicazioni di natura dirigista e pubblicista riducono pericolosamente l’efficacia di questo intervento e, soprattutto, mantengono in vita il rapporto "incestuoso" fra banche spagnole che, grazie ai fondi europei , comprano debito pubblico spagnolo e governo spagnolo, beneficiario ufficiale e garante di tali finanziamenti. Se l’Unione europea potesse intervenire nei riguardi del sistema bancario degli stati membri, indipendentemente dagli stati in cui essi sono legalmente collocati, questo problema non si porrebbe. Ciò ovviamente implica la cessione di un potere pubblico da parte degli stati membri dell’euro zona al governo della stessa, quello di controllo e di intervento primario sul sistema bancario, che passerebbe al governo monetario europeo ossia alla Bce o al suo governo fiscale, ossia alla Commissione europea sotto la vigilanza del Consiglio europeo. Nel caso della Grecia, che ha ricevuto un prestito di 247 miliardi dall’Unione europea e dal Fondo Monetario Internazionale, a fronte del suo debito pubblico, che ha consentito di riconvertirlo, con un sacrificio da parte dei creditori, di una parte variabile del loro credito, in cambio della garanzia che esso ora sarebbe sicuro, ci si trova di fronte a un diverso e si potrebbe dire opposto problema, quello che manca un potere di comando centrale dell’Unione europea sul governo greco, nel caso in cui esso si rifiuti adempiere alle condizioni che sono alla base del consistente aiuto, che in parte essa deve ancora ricevere.
In questo caso, manca uno strumento di diritto pubblico riguardante il governo inadempiente. Si tratta, è vero, in linea di principio e in astratto, di una situazione transitoria in quanto il fiscal compact comporta anche un potere politico di intervento dell’Unione Europea nei confronti degli stati membri inadempienti. Ma questo patto non è stato ancora firmato. Inoltre non è ancora stato chiarito che cosa accade se uno stato denuncia gli accordi (come vorrebbe fare la sinistra in Grecia) e decide di lasciare l’euro. E ancora: è concepibile l’uscita dall’euro per gli inadempienti che non sono in grado di parteciparvi. E se si in quali estreme circostanze? Ho indicato solo alcuni dei temi della architettura politico-finanziaria dell’euro, che si possono riassumere nella questione posta da Mario Draghi, presidente della Bce: che ne sarà dell’euro fra dieci anni?
Ora quindi si accentua il pericolo di contagio sul debito pubblico italiano. Compito immediato del nostro governo e della maggioranza politica che lo sorregge è quello di varare una operazione di rilancio per dare fiducia nell’economia italiana, dato che sia nel caso della Spagna che della Grecia la domanda che pongono gli investitori è se in quelle due economie vi sono le risorse per pagare i debiti pubblici. Noi sappiamo che in Italia le risorse ci sono e che l’Italia è vicina al pareggio del bilancio, fra poco non avrà bisogno di mettere nuovi prestiti, ma solo di rinnovare quelli esistenti. Ma il nostro lato debole è la recessione. Il punto di forza è la capacità di esportare, che va accresciuta sia per combattere la recessione che per arrivare al pareggio di parte corrente del bilancio, che è la maggior garanzia della capacità dell’Italia di stare nell’euro zona.