Sul caso Sallusti il problema non è l’applicazione, ma la legge stessa
27 Settembre 2012
«Per rimanere liberi – scrisse Giovannino Guareschi nel 1954 – bisogna, a un bel momento, prendere senza esitare la via della prigione». Guareschi, che aveva contribuito in maniera determinante alla vittoria della Democrazia cristiana nelle elezioni del 1948, dovette varcare la soglia del carcere. A mandarcelo fu una querela di Alcide De Gasperi (eh, la riconoscenza!).
Guareschi sul «Candido», da lui diretto, aveva pubblicato un falso riguardante De Gasperi. Un errore, certo. Ma quell’errore gli costò tredici mesi dietro le sbarre. Cosa che toccherà di nuovo ad un giornalista, Alessandro Sallusti, direttore de «Il Giornale». Dovrà scontare quattordici mesi per il reato di diffamazione a mezzo stampa. La prima sentenza aveva condannato Sallusti ad una ammenda pecuniaria. La sentenza di appello, invece, aveva assestato una legnata impressionante: quattordici mesi di detenzione, senza condizionale. La Cassazione, nonostante il parere contrario del Procuratore Generale, ha confermato la sentenza, rendendola definitiva ed esecutiva. Forse ci voleva un po’ più di coraggio. Ma il diritto non può essere piegato troppo.
Il problema non è l’applicazione, ma la legge. Una legga sbagliata, che punisce con la galera i reati di opinione. E l’unica speranza di questa triste ed angosciante vicenda, è che la condanna di Sallusti serva almeno, una volta per tutte, a depenalizzare il reato di diffamazione a mezzo stampa. Così i giornalisti non rischieranno più la prigione. Resta però un fatto. La giustizia si abbatte sul giornalista che nell’ultimo decennio si è impegnato a favore del centro-destra. Sarà un caso? Chi vuole crederlo è libero di farlo. Amareggiati e avviliti, registriamo ancora una volta di aver perso una battaglia a favore della libertà. Ad Alessandro Sallusti auguriamo lunga e felice vita.