Ciò che si fece contro Craxi si paga oggi con la Forleo
24 Luglio 2007
Italia si accinge ad incassare una legge sull’ordinamento giudiziario redatta e
approvata come se si trattasse del contratto nazionale di lavoro della
categoria. Bisogna farcela entro il 31 luglio per riuscire a cancellare
quella “inammissibile” distinzione fra giudici e pubblici ministeri che il
centrodestra aveva tracciato nella quattordicesima Legislatura.
Della intoccabilità del “contratto” è stato finora buon
sorvegliante il ministro Mastella. Domato in Senato il riottoso senatore
Manzione, alla Camera tutto pareva in discesa. Probabilmente lo sarà. Solo che più o meno negli stessi
giorni lo stesso Mastella, sulla iniziativa del giudice Clementina Forleo, che
ha chiesto al Parlamento l’autorizzazione ad utilizzare alcune intercettazioni,
ha obiettato come l’iniziativa non sia da giudice, seppur delle indagini
preliminari, ma da pubblico ministero. Ma allora le due funzioni, se non le due
carriere, hanno da distinguersi?
C’è stato poi lo sguaiato scatto di maleducazione del
magistratissimo ministro Di Pietro. E si è registrata soprattutto una singolare
sovrapposizione di temi e di tempi legislativi ai limiti del surreale. Di Pietro, magari, è quello di sempre. Ma Violante e la
Finocchiaro sembrano irriconoscibili: quelli che fra il 1992 e il 1994
indossavano i loro nomi e i loro cognomi, quando (accadeva spesso) il
Parlamento discuteva di richieste di autorizzazione a procedere a norma
dell’articolo 68 della Costituzione, non dovevano essere neppure loro lontani
parenti…
La verità è che il cancro del giacobinismo in toga risale
proprio a quell’infame riforma dell’articolo 68 del 1993. La si volle e la si
votò per punire la Camera dei deputati per avere liberamente votato sui casi di
Craxi. Il meccanismo che si introdusse è quello che oggi opera contro Fassino,
D’Alema e altri onorevoli colleghi: le intercettazioni telefoniche di
parlamentari possono farsi, diffondersi, pubblicarsi e solo successivamente chiedere
al Parlamento di esserne autorizzati. Che cosa resta con tale procedura di quel
diritto costituzionale al giusto processo che pur si volle scrivere in
Costituzione nella XIII Legislatura?
Forse è bene riguardare la questione sotto i profili del
costituzionalismo (materia estranea al buon di Pietro). Ambiti e limiti del
diritto di punire, ruoli e prerogative di chi lo esercita, nelle democrazie parlamentari
non sono questioni da contratto di lavoro delle toghe. A suo modo, Mastella sembra ministro in grado di
comprenderlo. Ma meglio sarebbe se di una riforma della immunità si facesse
voce il capo dello Stato: tanto più che il medesimo nel 1993 presiedeva la
Camera dei Deputati.