“Lavoro e salute partono dallo stesso principio: la centralità della persona”
01 Agosto 2012
Signor Presidente, colleghi senatori, signor ministro,
la vicenda dell’Ilva è la dimostrazione dei danni che possono fare le ideologie e di come non basti sostituire quelle novecentesche con nuovi fondamentalismi. Prima o poi i nodi vengono al pettine e oggi, se vogliamo provare a fare dei passi avanti, dobbiamo scendere dalle barricate ideologiche per affermare che la tutela della salute e la difesa di decine di migliaia di posti di lavoro e del tessuto socio-economico che ha fatto la storia e rappresenta l’avvenire di una intera città non sono obiettivi contrapposti ma interessi supremi che possono e devono convivere.
La leggerezza con la quale da parte di taluni viene invocato lo smantellamento del più grande stabilimento siderurgico d’Europa; gli applausi a scena aperta tributati alle ordinanze della magistratura nella malcelata speranza che quei sigilli potessero consegnare definitivamente l’Ilva al passato, archiviando la sua storia, che poi è la storia di Taranto e del Sud Italia, come una storia di veleno e di morte obliterando ciò che ha rappresentato in termini di opportunità per intere generazioni di tarantini e non solo; tutto questo sconta un vizio ideologico di fondo che consiste nella mancata considerazione dei dati di realtà.
Cosa ci dicono i dati di realtà? Ci dicono che a Taranto ci si ammala e si muore troppo. Ci dicono che l’ambiente è inquinato, il sistema compromesso e tutto ciò ha pesanti ricadute sulla qualità e l’aspettativa di vita dei cittadini. Ci dicono anche però che la contaminazione ambientale non è un fenomeno recente ma si è stratificata nel corso dei decenni, quando l’Ilva si chiamava Italsider ed era un’industria di Stato; ci dicono che negli ultimi anni le emissioni inquinanti sono state ridotte, e che dunque questo percorso va semmai intensificato e non certo interrotto per il venir meno dell’esistenza stessa dell’attività produttiva: altro che imputare tutta la responsabilità, come incredibilmente si legge nell’ordinanza, alla “logica del profitto”! Ci dicono soprattutto che una bonifica completa dell’ambiente richiederebbe tempi talmente lunghi che è impossibile pensare che un processo del genere, pur necessario, debba passare per un evento traumatico che distruggerebbe decine di migliaia di famiglie. Perché chiusa l’Ilva, licenziati i suoi dipendenti, il giorno dopo l’aria non sarebbe automaticamente più respirabile.
Taranto ha pagato un prezzo pesante per lo sviluppo del Mezzogiorno. In questi giorni ce lo ha raccontato tra gli altri un tarantino come il pubblicista Angelo Mellone, figlio e orfano dell’acciaio, il quale ha offerto al dibattito pubblico il dramma che ha segnato la sua come tante famiglie di suoi concittadini. Eppure ha avuto il coraggio di affermare che il diritto a vivere passa tanto dalla difesa dell’ambiente quanto dal bisogno di una città di non smarrire ciò che nei decenni ha costruito e per cui ha già pagato.
Invece, proprio ora che l’evidenza dovrebbe imporre un piano di risanamento che tutelando la salute preservi il patrimonio sociale rappresentato dal polo siderurgico, lo spettro della chiusura incombe. E’ uno spettro che fa paura, al punto che anche chi ha costruito la sua fortuna politica soffiando sul fuoco degli estremismi, dopo sette anni al governo della Regione ha aspettato l’intervento della magistratura per sfoggiare un’inedita e improvvisa aura di rassicurante buon senso.
Noi che l’estremismo non l’abbiamo mai praticato, rosso o verde che sia, riteniamo di avere titolo a sostenere che l’Ilva di Taranto non deve chiudere e che il necessario piano di risanamento può e dovrà essere compatibile con la prosecuzione dell’attività produttiva. Non ci faremo trascinare nella distruttiva e lacerante disputa ideologica per la quale chi difende i lavoratori è un nemico della salute e chi difende la salute è un nemico dei lavoratori, perché per noi lavoro e salute non sono vessilli da brandire ma due declinazioni di uno stesso principio che è la centralità della persona; declinazione che impone innanzi tutto responsabilità.
Quanto agli eventi che hanno determinato l’esplodere del caso, per il rispetto che portiamo all’autorità giudiziaria confidiamo che le drastiche misure di sequestro, di natura cautelare quanto a procedura ma potenzialmente irreversibili nei loro effetti, siano state disposte con la ponderata consapevolezza delle possibili conseguenze e dunque, di fronte alla prospettazione di un piano di intervento, con la disponibilità a fermarsi un passo prima del limite oltrepassato il quale sarebbe difficile tornare indietro. Grazie.