Fare del Card. Martini l’eroe della Chiesa filo-laicista è un errore
03 Settembre 2012
La scomparsa del Cardinal Martini è senza dubbio un evento che lascia il segno per chi, come il sottoscritto, ha vissuto la propria infanzia nella Milano degli anni Ottanta, quando questa straordinaria figura di pastore della Chiesa ha prestato il proprio servizio in una delle diocesi più grandi del mondo. Eravamo abituati a vederlo come uomo dalla raffinatezza intellettuale poco comune, figura di riferimento per chi passeggiava lungo le austere navate del Duomo, una sicurezza spirituale e culturale per la città intera. Una personalità che sicuramente ha lasciato il segno nella storia di Milano, a volte erroneamente e sbrigativamente dipinta come una città di corsa, dove la religione non trova spazio. E invece quello spazio esiste e se esiste tutt’oggi è anche per merito di Martini. Una persona che è riuscita, forse meglio di chiunque altra, a sviluppare l’ecumenismo e il dialogo aperto anche alle componenti laiche della società, senza alcun pregiudizio, trovandosi ad affrontare, come Giovanni Paolo II, i primi fenomeni di disfacimento della famiglia tradizionale, la piaga del divorzio con le sue drammatiche conseguenze economiche, l’immigrazione di massa con le sue difficoltà di integrazione tra le varie culture.
Sì, il cardinal Martini si è trovato ad affrontare un passaggio epocale per Milano, con trasformazioni socio-culturali che si trovavano improvvisamente ad esplodere in tutta la loro veemenza. Multiculturalismo, società aperta, coppie di fatto. Realtà nuove, che l’Italia non era attrezzata ad affrontare e che Milano, come spesso le è capitato nella sua storia, si è trovata a dover fronteggiare per prima. Con i loro riflessi sulla religione. L’esclusione dall’eucarestia per i divorziati, ad esempio, è stata una delle problematiche rimaste più a cuore del cardinale, che ha compreso il fenomeno in tutta la sua gravità, si è fatto interprete delle sofferenze dei credenti che si trovavano in quelle situazioni ed ha cercato di non abbandonarli, a volte sembrando entrare in aperto conflitto con le componenti più ortodosse della Chiesa, meno inclini a concedere il riavvicinamento, nonostante, è giusto ricordare, da anni sia in atto una riflessione profonda per comprendere, su queste tematiche, quale possa essere la posizione più corretta da tenere, sempre tenendo le Sacre Scritture come punto immodificabile di riferimento.
A queste sfide Martini ha saputo rispondere con prontezza, scegliendo gli strumenti giusti per portare la parola di Dio ai più deboli ed emarginati. Insigne biblista, non ha tenuto per sé la straordinaria conoscenza delle Sacre Scritture acquisita in decenni di studio come gesuita erudito, ma ha voluto metterla a disposizione degli altri, sfruttando pienamente tutte le possibilità offerte dai mezzi di comunicazione di massa. E’ sua, ad esempio, la creazione della scuola della parola, una lectio divina che veniva offerta via radio e televisione ogni Quaresima a dei gruppi di ascolto che si formavano all’interno delle parrocchie e delle famiglie.
Anche per questo motivo, Martini rappresentava un punto di riferimento per il cattolicesimo milanese.
Non possiamo, per questo motivo, non biasimare il tentativo di strumentalizzazione operato da alcuni illustri quotidiani nazionali, nel tentativo, come Benedetto XVI ha avuto modo di ricordare in una sua nota diffusa a mezzo stampa, di far passare Martini come un uomo che si voleva mettere in contrapposizione con la parte più conservatrice della Chiesa, un papa mancato, un eroe sconfitto nel suo tentativo di modernizzare una Chiesa vecchia, attraverso una revisione teologica e sociale di temi delicatissimi quali il divorzio, la famiglia e l’eutanasia. Idealizzare la figura di Martini, quasi fosse un eroe decadente sconfitto dalla tradizione ottusa e conservatrice della Chiesa è quanto di più offensivo ci possa essere per lui. Martini non era uomo al di fuori dalla Chiesa, ma uomo della Chiesa a tutti gli effetti. Non era un pastore che voleva creare divisione, ma unione. A volte anche con riflessioni poco condivisibili, come quell’assenza di modernità che egli lamentava in una delle sue ultime interviste rilasciate al Corriere della Sera, unita all’assenza di nuovi protagonisti all’altezza di San Paolo. No, da questo punto di vista, nel Novecento, la Chiesa ha espresso delle figure di santi straordinari, come Madre Teresa di Calcutta e Giovanni Paolo II, uniti a tanti altri poco ricordati, alle migliaia di martiri missionari seminati in tutti i luoghi della Terra.
Vedere quindi Martini dipinto come l’eroe della Chiesa filo-laicista è un errore storico e un tentativo pericoloso di creare zizzania all’interno dell’unità dei credenti. A noi piace invece ricordarlo come uomo pienamente inserito nella grande casa dei credenti, di cui lui è stato, e sempre sarà, uno dei predicatori più raffinati.