Il caos a Bengasi e in M.O. è figlio della celebrata guerra “democratica”
14 Settembre 2012
Le vicende di Bengasi e il caos che si sta diffondendo in tutto il Medio Oriente dovrebbero rappresentare una salutare lezione di realismo per gli Stati Uniti e i Paesi occidentali in genere. E spero che si possa tra poco togliere il condizionale per passare a un più deciso “devono”. E’ chiaro, infatti, che la strana guerra – peraltro non dichiarata – contro Gheddafi ha sortito effetti del tutto opposti a quello che si intendeva ottenere: la presunta “liberazione” del popolo libico.
Credo non faccia male rammentare brevemente i fatti nella loro crudezza. A un certo punto l’attuale amministrazione americana decise che ci si doveva disfare dell’ex colonnello, anche se non si comprende bene perché l’anno prescelto sia stato proprio il 2011. Molto impegnati altrove, gli Stati Uniti affidarono “per procura” la conduzione delle operazioni belliche a due ex potenze coloniali europee, Francia e Regno Unito, i cui leader non si fecero certo pregare.
Ecco l’occasione per mostrare al mondo che francesi e inglesi detengono ancora una forza militare di tutto rispetto, in grado di piegare in tempi brevi qualsiasi dittatore del cosiddetto Terzo Mondo. I muscoli gonfiati, le due ex potenze intervennero in modo massiccio dopo aver accertato, grazie all’aiuto dei servizi segreti americani, la presenza di fazioni di ribelli “democratici” pronti a dare una mano sul campo.
In realtà non si sapeva affatto chi fossero costoro, nè si sa molto di più ora. Ma, tant’è, la guerra “democratica” andava fatta in nome della libertà dei popoli, e poco importa se in molti covava il sospetto che ai libici della democrazia importasse assai poco. L’insurrezione sembrava più una lotta tra clan locali che una genuina insurrezione popolare contro la tirannide.
Interessante anche ricordare come si comportarono Italia e Germania in quei frangenti. Angela Merkel e il suo governo non vollero proprio saperne e ne stettero fuori. Per di più ironizzando sul fatto che, visto lo stato delle loro economie, Francia e Regno Unito non potrebbero mantenere apparati militari così ingenti.
In Italia Silvio Berlusconi, ancora al governo, manifestò subito grande perplessità. L’uomo avrà pure una montagna di difetti ma è difficile negare che possiede fiuto politico (includente anche il campo della politica estera). Naturalmente la sua esitazione fu subito attribuita ai rapporti d’amicizia personali con il leader libico, mentre a posteriori sembra più plausibile interpretarla come consapevolezza che imbarcarsi in quell’avventura avrebbe arrecato all’Italia più danni che vantaggi.
Le pressioni, straniere e no, erano tuttavia fortissime. L’impegno veniva chiesto non solo da americani, francesi e inglesi, ma anche da settori del governo italiano nonché – è opportuno rammentarlo – dal Presidente Napolitano. Così il nostro Paese si accodò, sia pure con risorse militari modeste, risultando tra i vincitori dello strano conflitto. Il risultato più vistoso fu che nelle strade di Tripoli e Bengasi, in mezzo a un tripudio di bandiere a stelle e strisce, di tricolori francesi e di Union Jack, comparve qualche sparuto vessillo italiano. Non molto, ma abbastanza per convincere i già convinti che l’intervento era giustificato e – come si dice – “avevamo vinto”.
Dopo l’esecuzione pubblica di Gheddafi la situazione parve calmarsi con la nostra ex colonia finalmente avviata verso un radioso futuro democratico. Qualcuno forse ha dimenticato che, dall’inizio alla fine della guerra, il colonnello pronunciava continui discorsi ammonendo l’Occidente circa la presenza di Al Qaida e di altri gruppi terroristici nel suo Paese. Era una sorta di litania incessante. Il poveraccio appariva – come d’abitudine – vestito in modo strano e ripeteva l’ammonimento in modo ossessivo. Nessuno gli dava retta. Ora vien da pensare che, forse, conosceva la Libia, i suoi abitanti e le infiltrazioni esterne assai meglio dei servizi segreti occidentali, ivi inclusi quelli americani.
Se mi si accusa di divagare ignorando il filmetto che ha provocato l’assalto di Bengasi e il caos in altre città del Medio Oriente, rispondo che a divagare sono purtroppo gli altri. Quello è al massimo un detonatore contingente. Le cause vere risiedono nel fatto che la guerra è stata lanciata e condotta senza avere alcuna idea chiara circa le natura e la composizione delle forze ribelli schierate sul campo a supporto degli occidentali. Un rischio che si sta seriamente correndo anche con la Siria di Assad in questo periodo.
Ora il Presidente Obama manda le navi da guerra e forse i marines, ma non si capisce a far cosa. Di fronte non c’è un esercito regolare da fronteggiare o altri obiettivi da bombardare, bensì un coacervo indistinto di forze che hanno quale unico obiettivo l’Occidente blasfemo da colpire.
Un grande risultato davvero. Quando ci renderemo finalmente conto che le guerre “democratiche” sono in realtà guerre “idiote”? E quando capiremo che non bisogna dar retta agli intellettuali superficiali come Francis Fukuyama che parlano di “esportare la democrazia”? Spero non troppo tardi, anche se la politica dell’attuale amministrazione USA non lascia ben sperare a questo riguardo.