La dittatura dei diritti è il nuovo totalitarismo

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La dittatura dei diritti è il nuovo totalitarismo

19 Febbraio 2013

Dal discorso sullo stato dell’Unione di Barack Obama alla determinazione dei governi francese e britannico ad approvare a tappe forzate leggi che istituzionalizzino il "matrimonio" omosessuale, aggiungendosi ai tanti paesi che lo prevedono già, sembra apparentemente inarrestabile nelle democrazie occidentali l’ondata del nuovo radicalismo imperniato sulla identificazione tra diritti soggettivi e desideri, che trova nella richiesta dell’equiparazione delle convivenze "same sex" alla famiglia tradizionale (con conseguente diritto all’adozione e alla fecondazione assistita per quelle coppie) la sua bandiera oggi più evidente.

Anche l’Italia, a quanto pare, sembra ormai destinata ben presto a non fare più eccezione rispetto a questo quadro. Lo si scorge in questa campagna elettorale dal moltiplicarsi dei segnali inequivocabili tra la politica e il sistema dei media che, più che mai compatto, impone all’opinione pubblica la nuova ortodossia ideologica del ventunesimo secolo. Dalle richieste prepotenti di Vendola alle promesse ossequienti di Bersani che quelle richieste, una volta superata la formalità della vittoria elettorale e dell’ingresso a Palazzo Chigi, verranno celermente soddisfatte. Dalle fiction televisive alle dichiarazioni enfatizzate di esponenti del mondo delo spettacolo sul tema, fino ai predicozzi intrisi di ricatto morale/sentimentale in quella stessa direzione in grandi show di massa come il festival di Sanremo.

E del resto pare proprio che nel quadro politico e culturale del nostro paese ben poco si contrapponga a questa tendenza tanto omologante quanto aggressiva e delegittimante verso chiunque sia di diversa opinione. Lasciamo perdere la demagogia antipolitica di formazioni come il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che fa a gara con Vendola e Ingroia nello sposare le tesi più "rivoluzionarie" in materia. Ma persino gran parte dei sedicenti rappresentanti "cattolici" e "moderati" nel Pd e nell’Udc, lungi dall’opporsi apertamente, sembrano già rassegnati a contenere i danni, e considerano l’argomento quasi con fastidio, quasi si preoccupassero dei voti che può far loro perdere, più che di quelli che dovrebbero cercare di guadagnare.

Il premier e leader di "Scelta civica" Monti, poi, pur esprimendosi a titolo personale a favore del matrimonio esclusivo uomo-donna, ha già classificato la questione nel novero di quelle riservate alla "liberta di coscienza" dei singoli deputati in parlamento: il che significa sostanzialmente lavarsene le mani, abbandonandola alla canea della grancassa mediatica, che a suon di scomuniche non faticherà ad imporre ad un parlamento intimidito soluzioni nel senso desiderato. E persino Silvio Berlusconi, a capo di un centrodestra che nelle scorse legislature ha tenuto posizioni moderate e tradizionaliste sui temi "biopolitici", lancia ammiccamenti su possibili cambiamenti di linea in proposito: peraltro espressivi di tendenze radicaleggianti sempre più presenti nel suo partito. A sostenere una linea contraria al nuovo conformismo imperante è rimasta coraggiosamente la Chiesa cattolica, insieme a settori trasversali del Pdl, dell’area montiana e del Pd.

In realtà la crescente pressione a favore dei matrimoni omosessuali è la testa d’ariete di una più generale concezione iper-radicale delle libertà individuali che nell’ultimo trentennio,si è imposta clamorosamente in tutto l’Occidente – ed in particolare nell’Europa continentale – colmando il gigantesco vuoto lasciato dalle ideologie della guerra fredda: non soltanto il comunismo con tutte le sue appendici movimentistiche/estremiste, ma anche la democrazia liberale antitotalitaria, che aveva sconfitto il comunismo proprio grazie alla stabilità sociale e culturale delle sue società, e che con la sconfitta dello storico avversario in pochi anni si è liquefatta di fronte all’arrembante edonismo relativistico soffiato dai venti della globalizzazione.

Per quasi duecento anni, nel lessico del liberalismo con l‘espressione "diritti civili" si erano indicati il diritto di parola e di associazione, la libertà religiosa, la protezione degli individui contro la repressione poliziesca e giudiziaria, e simili. Dagli anni Settanta del secolo scorso, gradualmente il radicalismo emergente ha imposto l’applicazione di quella dizione alle pretese di liberalizzare divorzio, aborto, eutanasia e altre espressioni dell’autodeterminazione "assoluta". Fino al punto che oggi quasi automaticamente quando nel dibattito politico si parla di "diritti civili" ci si riferisce a questi temi.

La grande crisi finanziaria mondiale e la bancarotta delle "democrazie della spesa" nei paesi altamente industrializzati, lungi dal riportare alla ragione le pretese ultra-radicali, hanno suscitato per contrasto ulteriori rivendicazioni di „diritti“ in quel senso. E le classi di governo (di sinistra come Hollande e Obama, ma anche di destra aspirante "moderna" come Cameron) si sono affrettate astutamente a saltare sul carro supposto vincente, distraendo i loro elettori dai dilemmi drammatici delle scelte di politica economica con la prospettiva a buon mercato di nuove "magnifiche sorti e progressive" della libertà e dell’uguaglianza. Che, chissà perché, dovrebbero essere rappresentate proprio da misure come la consacrazione dei comportamenti sessuali di minime minoranze a modello di "famiglia".

Quando questa operazione sarà stata coronata da successo, la via sarà ormai aperta per altre grandi campagne politico-legislative ancor più radicali nello stesso solco, come la legalizzazione dell’eutanasia e, in Italia, quella della fecondazione eterologa e della ricerca sulle cellule staminali embrionali.
Si tratta di una deriva ormai avanzata, i cui esiti rischiano di essere accolti quasi come eventi ineluttabili anche da coloro che non sono completamente asserviti all’ideologia trionfante: cristiani e rappresentanti delle altre religini monoteistiche come ebraismo ed islam, ma anche laici che concepiscono libertà e democrazia come qualcosa di diverso da un’anarchia sregolata di progetti individuali da consentire e realizzare a qualsiasi costo.

Occorre, allora, costantemente riportare la discussione su questi temi alla sua radice politico-culturale, per rimarcare l’autentica natura dell’iper-radicalismo oggi egemone. E sottolineare come la concezione irrelata e assoluta dei diritti soggettivi in realtà non implichi soltanto la totale autodeterminazione degli individui (che pure non è affatto una conseguenza scontata della cultura liberale, in base alla quale la libertà non è fare semplicemente ciò che si vuole, e si definisce in uno schema di princìpi, relazioni, limiti), ma si traduca sempre nell’attribuzione a determinati soggetti (in genere quelli che gridano più forte) di un potere arbitrario su altri, più deboli e meno tutelati.

Così, trasformare per legge una coppia omosessuale in una "famiglia" equiparata a quella tra uomo e donna attraverso il "matrimonio per tutti" (per tutti? Ma allora con quale diritto si può negare legittimità alla poligamia, tanto per citare un caso di rivendicazione possibile?) significa svalutare drasticamente lo statuto giuridico e sociale del matrimonio "tradizionale", deprimendo ogni rivendicazione di politiche di welfare a suo favore, e significa attribuire ai "coniugi" omosessuali il diritto di realizzare ogni loro desiderio di "genitorialità": comprando uteri, ovuli e spermatozoi attraverso la schiavizzazione di donatori costretti dal bisogno, contendendo l’adozione alle coppie eterosessuali e imponendo ai figli, "naturali" o adottivi, di crescere in una condizione difforme da quella universalmente propria della specie umana in ogni epoca storica e civiltà. Così la sperimentazione sugli embrioni e la fecondazione eterologa, come è evidente a chiunque non si ponga unicamente nella prospettiva di coloro che aspirano a beneficiare dei loro risultati, sacrificano al desiderio legittimo di generare e a quello altrettanto legittimo a guarire da malattie la vita di innumerevoli esseri umani che avrebbero altrimenti potuto venire al mondo, crescere e avere anch’essi i propri legittimi desideri ed aspirazioni.

Ma si sa, quando la "lingua di legno" di un’ideologia vincente si impone in maniera monolitica, travolgendo ogni possibilità di discussione su basi di razionalità e buon senso, diventa molto difficile scalfire la muraglia di delegittimazione che essa scarica suquanti ad essa si oppongono. E dunque, nonostante i segni confortanti che emergono ogni tanto (come la massiccia e trasversale mobilitazione d’opinine pubblica sorta in Francia contro la legge sul Mariage pour tous) complessivamente è lecito attendersi purtroppo, per ora, soprattutto l’ingrossarsi del coro in favore del nuovo conformismo.

Il ripristino di una corretta impostazione nella discussione sui temi oggetto dei desideri radicali „biopolitici“ avverrà soltanto quando si riuscirà a chiedere ed ottenere che quelle rivendicazioni vengano denominate come meritano: non "diritti", ma poteri, che in quanto tali andrebbero controbilanciati da garanzie per tutti i soggetti, i settori di società e gli interessi sociali in essi coinvolti.