
Come riordinare il “federalismo all’italiana”

11 Giugno 2013
Nell’introduzione al volume "Federalismo all’italiana", il professor Luca Antonini afferma che il suo è un libro che non nasce dalla “polvere” di una biblioteca, ma dalla “terra” di una esperienza vissuta: quella di Presidente della Commissione tecnica paritetica che ha guidato la fase attuativa della legge delega n. 42 del 2009, la legge destinata a realizzare il federalismo fiscale, previsto dalla Costituzione e rimasto congelato per dieci anni.
Questo libro quindi è una sorta di diario, “simile al resoconto di una piccola guerra di trincea portata avanti per quattro anni, giorno per giorno, contro un sistema, sia centrale che locale, che man mano che si andava a fondo appariva zeppo di inefficienze, contraddizioni, sprechi e irrazionalità”.
Il libro è uscito a gennaio 2013 e affermava che la grande incompiuta, il nostro federalismo all’italiana, avrebbe dovuto necessitare di tutta “l’attenzione della prossima legislatura, con l’apertura di una vera e propria fase di revisione costituzionale”. Una fase necessaria “per rilegittimare la nostra Costituzione dopo gli errori compiuti nella Seconda Repubblica”.
Questa fase ora si è aperta e il libro di Antonini costituisce una bussola molto importante per orientare i lavori della revisione costituzionale della forma di Stato. Quanto scritto nel volume (la verità sul federalismo all’italiana) è infatti una completa e inedita radiografia del sistema, dove si rende noto quello che spesso è conosciuto solo da una strettissima cerchia di addetti ai lavori.
Il sottotitolo del libro recita: “quello che ogni cittadino dovrebbe sapere”. Pochi sanno ad esempio che nel nostro assetto istituzionale decentrato (se si toglie la spesa per pensioni e interessi) si concentra ormai oltre la metà della spesa pubblica italiana, ma il sistema si è via via dimostrato sempre più ingestibile. Sul federalismo c’è stata spesso, a tutti i livelli, da quello politico a quello mediatico, retorica o mistificazione; raramente si è detta quella verità che il volume di Antonini documenta con franchezza e competenza. Le disfunzioni del sistema attuale sono evidenti: riporto solo quattro esempi tra i tanti proposti nel volume.
Primo: dal 1997 ad oggi lo Stato italiano ha approvato ogni anno una legge di semplificazione (e nell’ultima legislatura sono stati adottati quasi quaranta provvedimenti di semplificazione), ma le classifiche internazionali ci mantengono agli ultimi posti dei paesi dove è più facile fare impresa. Il problema è chiaro: le leggi di semplificazione si scontrano con le innumerevoli competenze concorrenti regionali che, in un assurdo federalismo di complicazione, possano bloccare le riforme statali che rafforzano, ad esempio, le autocertificazioni.
Secondo: la materia “grandi reti di trasporto” è stata decentrata (neanche il Canada ha fatto una scelta tanto forte); ma il finanziamento del trasporto pubblico locale avviene tramite un trasferimento statale alle regioni in base alla spesa storica, che poi lo girano, sempre in base alla spesa storica, in parte alle province e in parte ai comuni. A loro volta questi enti lo girano alle aziende di trasporto. Sintesi: le regioni stanno negoziando ormai da due anni l’entità del trasferimento con lo Stato, le polemiche tra i vari soggetti coinvolti sono enormi, la possibilità di razionalizzare la spesa è lontana e forse qualche mamma, per effetto i tagli, una mattina non vedrà più il pullman che viene a prendere il suo bambino. Difficile dire a quale porta dovrà bussare per lamentarsi. A Napoli il recente blocco degli autobus ha generato il solito scaribarile delle responsabilità, con De Magistris che ha dato puntualmente tutta la colpa ai tagli del Governo, nonostante l’azienda di trasporto abbia debiti tributari per milioni di euro.
Terzo: oggi il più piccolo comune italiano (Pedesina con 36 abitanti) ha le stesse funzioni fondamentali di Milano (circa 1,4 milioni di abitanti), ma le ultime due legislature non sono riuscite a portare ad approvazione la Carta delle Autonomie, che avrebbe dovuto definire in termini adeguati “chi fa che cosa”. Il problema è a livello costituzionale, dove non si è sciolta l’opzione tra municipalismo e regionalismo creando un nodo gordiano che rende impossibile l’impresa di definire un assetto razionale ed efficiente del riparto delle funzioni fondamentali. L’avvitamento della riforma delle Province conferma questa situazione di stallo.
Quarto: un semplice albero, oggi, interessa almeno cinque diversi tipi di competenze – europea, statale, regionale, provinciale, comunale – poiché, in base all’attuale impianto costituzionale, rientra nelle materie agricoltura, ambiente, ecosistema, governo del territorio, protezione civile, che sono frammentate tra i vari soggetti istituzionali. In caso di alluvione, i guai non sono imputabili solo al clima, ma spesso dipendono dall’impossibilità di mettere d’accordo le istituzioni.
Gli esempi potrebbero essere ancora molto numerosi: il volume di Antonini ne offre un’ampia e documentatissima panoramica, grazie all’esperienza vissuta – fatta di centinaia di riunioni con i soggetti istituzionali – che ha portato alla conclusione che si afferma nel libro: “i problemi dell’Italia di oggi non sono ciclici ma strutturali e senza affrontarli neanche azzerando il debito pubblico ricominceremo a crescere”.
Il risultato dell’attuale impianto costituzionale è infatti un sistema incompiuto, dove prevale un policentrismo anarchico privo di coordinamento efficace che alimenta un localismo conflittuale in cui il diritto di veto rischia di bloccare qualunque decisione. Esattamente il contrario della partecipazione basata sul principio di sussidiarietà che presuppone il riconoscimento di un bene comune, derivante dalla appartenenza ad un’unica comunità nazionale. Il risultato è un sistema dove a prevalere sono frammentazione e incertezza del diritto.
Occorre quindi procedere a un riforma organica anche di questa parte della Costituzione – basti pensare alle disfunzioni che determina mantenere quel bicameralismo paritario e perfetto che già nel 1947 (come recitava l’ordine del giorno Perassi) appariva irrazionale e che oggi nonostante il fortissimo decentramento legislativo operato con la riforma del Titolo V è rimasto invariato: per cui abbiamo decentrato funzioni legislative come il Canada o la Germania ma non abbiamo una Camera rappresentativa delle autonomie, dove queste siano coinvolte e soprattutto responsabilizzate.
I costi della incompiuta sono spaventosi: a fianco di realtà efficienti e virtuose, che costituiscono modelli di assoluta eccellenza, abbiamo realtà altamente inefficienti. Sulla sanità in Italia, ad esempio, c’è “il meglio” e “il peggio” del mondo. Non possiamo continuare a mantenere in piedi un sistema istituzionale che non pone gli strumenti adeguati a permettere che il meglio diventi un modello per tutti e il peggio sia superato anche attraverso un più efficace coordinamento statale.
Ad esempio la riforma del federalismo fiscale della scorsa legislatura ha posto in essere alcuni strumenti come i costi e i fabbisogni standard – riconosciuti dall’Ocse come i criteri di finanziamento e di perequazione più evoluti in assoluto – che devono essere valorizzati con più decisione, superando una volta per tutte quella logica dei tagli lineari che punisce l’efficienza e non contrasta efficacemente l’inefficienza.
Il libro di Antonini è quindi una documentazione molto analitica e utile per individuare correttamente i punti su cui occorre intervenire nell’ambito della prossima riforma costituzionale, al fine di incentrare realmente il sistema sul principio di responsabilità e permettere di recuperare quegli elementi di ordinata sovranità che ci possono consentire un rapporto paritario con gli altri Stati, a partire da quelli europei. Se non si agisce a questo livello si rischia di continuare invano a cercare di rattoppare un assetto ormai inadeguato nelle sue linee di fondo: si immette vino nuovo in un otre vecchio.
E’ bene ribadire che un processo di riforma strutturale della II parte della Costituzione (la I parte non va assolutamente toccata: è ricca di grandi valori tuttora attuali) non delegittima la nostra Costituzione; al contrario riformarne una parte è l’unico modo per rilegittimarla pienamente. Lasciare le cose come stanno non conviene a nessuno. Non conviene, innanzitutto, ai cittadini, che pagano in prima persona quelle disfunzioni che ferocemente divorano miliardi e miliardi di euro; non conviene a chi governa il Paese a livello centrale, che a quelle stesse disfunzioni si ritrova a dover porre rimedio di volta in volta senza riuscire mai a cambiare il sistema; non conviene a quegli amministratori regionali e locali che lavorano con serietà ma non dispongono degli strumenti per perseguire in modo efficace politiche innovative da presentare poi agli elettori.
Sembra questa la strada per riordinare il federalismo all’italiana, cui rimarrebbero legati, se l’assetto fosse ordinato, importanti valori di responsabilità, democraticità, efficienza, solidarietà e sussidiarietà, di cui è importante che non si perda il seme. Se il federalismo all’italiana, salva qualche importante eccezione, sia a Nord che a Sud, che il libro documenta, ha spesso prodotto modelli dissipativi, è allora necessario un processo di riforma che, ricomponendo in termini realmente efficaci il ruolo dello Stato coordinatore, possa restituirci un sistema delle autonomie in grado di valorizzare anziché sprecare quei beni di comunità di cui ancora oggi, nonostante la crisi, sono ricchi i nostri territori.
*Introduzione del Ministro per le Riforme, Gaetano Quagliariello, al volume del Professor Luca Antonini, "Federalismo all’italiana. Dietro le quinte della grande incompiuta. Quello che ogni cittadino dovrebbe sapere", Marsilio 2013. Il volume è stato presentato l’11 giugno 2013 alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione.