La chiusura dell’Ilva è solo frutto della mancata pianificazione
27 Novembre 2012
Sta finendo nel peggiore dei modi la saga-Ilva: il siderurgico tarantino, da ieri, ha chiuso i cancelli e i 5mila dipendenti si son visti disattivare il badge, costretti, ora, a vacanze forzate. Chi controlla una tra le più imponenti industrie d’Europa ha detto “basta”, scelta inevitabile – secondo la proprietà del siderurgico – dopo la decisione della magistratura pugliese che ha imposto il sequestro dell’area.
Con una nota arrivata nel tardo pomeriggio, l’Ilva ha annunciato la drastica decisione, ma promette ricorso al provvedimento del gip, piovuto sullo Ionio nonostante il via libera alla produzione del Ministero dell’Ambiente, ottenuto dal siderurgico grazie alla revisione dell’Aia del 26 ottobre scorso. La decisione della magistratura, scrive l’Ilva, “si pone in radicale e insanabile contrasto rispetto al provvedimento autorizzativo del ministero” e costringe la proprietà ad una scelta evitata con cura fino a ieri, ma che è, ora, inevitabile.
Un duro colpo per l’economia pugliese, ma non solo. Gli effetti della scelta maturata nel tarantino saranno ben visibili anche nel resto del Paese, dove l’attività industriale legata al polo ionico è, ancora, viva. L’impossibilità di commercializzare i prodotti fabbricati in Puglia, infatti, costringerà il gruppo Riva alla chiusura “di tutti gli stabilimenti che dipendono, per la propria attività, dalle forniture dello stabilimento di Taranto”, primo fra tutti quello genovese.
Lo scontro insanabile tra la magistratura tarantina e il gruppo Riva, insomma, rischia di evolversi in un ben più radicato scontro sociale lungo lo stivale italiano, mettendo a rischio il lavoro di migliaia di dipendenti. I sindacati e il governo hanno annunciato un tavolo – giovedì alle 15 – per studiare l’evolversi degli eventi e scongiurare quella che sembra, adesso, una conclusione tragica. Il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, non ha accolto con favore la decisione della magistratura e dalle sue parole sembra che il governo sia pronto a ingaggiare una lotta per affermare la necessità d’impresa al Sud, in Puglia, a Taranto. Confindustria, anche, parla di “accanimento giudiziario nei confronti dell’azienda” perché "c’è – continua – una contraddizione evidente tra il percorso delineato dall’Aia, sul quale l’Ilva stava lavorando seriamente con ingenti investimenti, e le decisioni della magistratura".
La paura, a Taranto, è palpabile e i dipendenti, adesso, aspettano che altri decidano del loro futuro, consapevoli di quello che potrebbe accadere se la chiusura dello stabilimento dovesse protrarsi a lungo e diventare definitiva. Scegliere tra la salvaguardia dell’ambiente e il fare impresa, tra salute e lavoro, è il paradosso di questa saga che ha investito l’economia pugliese negli ultimi mesi. Adesso i lavoratori tremano e si teme che gli scioperi non possano più servire a nulla: quello che manca, in Puglia, è una pianificazione strategica, dettata dalla politica, perché si deve sciogliere quel paradosso tutto tarantino e dimostrare che l’impresa e il lavoro sono, in fondo, l’esaltazione della vita.