Non è con gli ultimatum che Renzi aiuterà il Paese

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Non è con gli ultimatum che Renzi aiuterà il Paese

03 Dicembre 2013

Matteo Renzi è un tipo determinato. Da alcuni anni vivacizza la dialettica politica italiana, e fronteggia senza paura quelli che ritiene gli irriducibili "dinosauri" democratici, i quali, ormai sfiniti, non sanno più cosa inventarsi per sbarrargli la strada. Il giovane sindaco di Firenze stavolta se lo prende davvero quel partito che in realtà non ha mai amato, ma che al contrario si propone di rivoltare come un calzino.

I soliti maligni scommettono che abbia pronta perfino la mina da piazzare sotto le impalcature del governo, e per la verità con i suoi comportamenti non sta facendo altro che avvalorare ogni sospetto. Difficile da spiegare altrimenti, al netto delle logiche congressuali, i toni usati da ultimo anche stamani, le espressioni da generale d’armata di un "nuovo corso" repubblicano, mescolate alla mai sopita smania di voler rottamare il mondo.

Tra una seduta consiliare a Palazzo Vecchio, una comparsata nel salotto televisivo del tribuno Michele Santoro, e l’infinito tour nelle città italiane da segretario in pectore del Pd, il primo cittadino gigliato ha lanciato più di una stilettata al suo compagno di partito Enrico Letta e a quel "governo di servizio" impegnato a tirar fuori l’Italia dal tunnel della crisi.

Il premier annuncia un piano di dismissioni? Renzi non ne vede l’utilità; Letta si spende nella difesa del Guardasigilli Cancellieri? Il sindaco fiorentino ne reclama invece il passo indietro, associandosi alla campagna di stampa montata ad arte per destabilizzare l’esecutivo ed indirizzare il corso politico degli eventi; il presidente del Consiglio richiama il valore della stabilità politica? Il "rottamatore" risponde a muso duro, urlando ai quattro venti che le elezioni anticipate non sarebbero una catastrofe.

Bordate polemiche all’insegna del tanto peggio tanto meglio, forse sufficienti a vincere un Congresso, o piuttosto a coprire un vuoto di elaborazione politica e programmatica, ma non certo utili a rendere l’azione del governo ancora più incisiva sul terreno delle debolezze strutturali del Paese. Matteo Renzi è libero di impantanarsi nelle sabbie mobili della sua vanità, ma non gli si può certo riconoscere il diritto di giocare la propria partita personale sulla pelle degli italiani.

Da segretario in pectore del Partito Democratico a megafono della linea editoriale del partito dello sfascio, il passo rischia di essere breve. Ma che tristezza, o sindachino!