La destra Kalimera che insegue la sinistra

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La destra Kalimera che insegue la sinistra

14 Luglio 2015

Che la sinistra patetica (vecchia definizione di Starnone), quella che ha esultato a piazza Syntagma dopo il referendum, abbia perso è evidente. Parliamo della sinistra legata a schemi interpretativi ormai obsoleti, quella brigata Kalimera  (o girotondini, o “ceto medio riflessivo”) che bisogna sempre aspettare all’aereoporto, perché  ha appena raggiunto una piazza lontana per festeggiare un nuovo eroe, o minaccia di lasciare il paese  quando, con regolari elezioni, vince la destra.

 

Ma, anche se maschera meglio la propria delusione, ha perso anche la destra italiana, quella che si attacca al carro apparentemente vincente di Salvini, quella che, dimenticando di far parte dei popolari europei, ha spudoratamente tifato per Syriza e contro i paesi che hanno prestato soldi alla Grecia (quindi anche l’Italia). Va bene, nessuno tifa per la Merkel, nessuno difende a spada tratta la politica spesso ottusa degli euroburocrati, ma ai cittadini, agli elettori, non si possono dire bugie smaccate, non si possono propinare ricette inverosimili e analisi farlocche, puntando solo a far crescere il consenso immediato.

 

Invece questo modo di far politica cresce, si diffonde, sta diventando un fenomeno globale. Il dibattito politico somiglia sempre più alla chiacchiera da bar, in cui trionfa la semplificazione aggressiva. Viviamo ormai tra opposti grillismi, in un mondo in cui si radicano illusioni pericolose, destinate ad essere amaramente smentite quando sbattono contro il muro del reale. A Salvini, che pensa di uscire dal vicolo cieco in cui si è cacciato con la sua propaganda antieuro, con le solite battute (basta pronunciarle con sufficiente energia e con aria convinta), qualcuno deve pur dire che le sue ricette sono impraticabili e porterebbero il paese allo sfascio. E bisogna che glielo dicano i suoi alleati; Forza Italia si ricordi di Sarkozy, che ha preferito perdere le elezioni piuttosto che allearsi alla Le Pen, e che oggi è di nuovo sulla scena.

 

Tsipras ha avuto paura di uscire dall’euro, e – almeno me lo auguro – ne avrebbe anche Salvini se vincesse le elezioni, e portasse sulle spalle la responsabilità di governare il paese e di offrire agli italiani prospettive realizzabili e non una beata illusione. Non si può affermare che il referendum greco (volete fare sacrifici e pagare i debiti o non farli e non pagarli?) sia stato un luminoso esempio di democrazia: si è trattato semplicemente di una manovra tutta interna di Tsipras, ed era ovvio che il risultato della consultazione non avrebbe avuto alcun peso al tavolo delle trattative europee, se non in senso negativo.

 

Cambiare l’Europa non è facile, ma non perché sia una gabbia, piuttosto perché i rapporti di forza sono quelli che sono, e in politica dei rapporti di forza bisogna tenere necessariamente conto. Per cambiarla c’è bisogno di alleanze intelligenti, ma anche di fare le riforme che da troppo tempo vanno fatte, e che non possono portare consenso se non su tempi lunghi. Contrariamente a quanto sostiene Giuliano Ferrara, il cui giudizio sui sostenitori nostrani di Tsipras condividiamo, il governo Monti, che era in condizioni straordinarie per riuscire a votare riforme radicali, non ha avuto coraggio, si è dimostrato subalterno al Pd, e si è limitato ad esercitarsi sul terreno più facile, quello delle pensioni, con esiti peraltro tecnicamente discutibili.

 

Oggi tocca a Renzi, ma per tirare fuori l’Italia delle secche serve un minimo di responsabilità anche da parte dell’opposizione: se la destra tornasse ad essere destra di governo, e lasciasse lo sciocchezzaio anti sistema ai grillini, sarebbe già un bel passo avanti.