Donald Trump vince ancora, nonostante i radical chic
27 Aprile 2016
Donald Trump sbaraglia la concorrenza e vince le primarie dei Repubblicani in tutti gli Stati della Costa orientale, Delaware, Maryland, Pennsylvania e Rhode Island. “Mi considero già il candidato del mio partito”, dice lanciando un chiaro avvertimento alla dirigenza del Grand Old Party. Per il “New York Times”, l’affermazione del Don e il successo della sua campagna, che era stata accolta come una farsa dai media, si sta rivelando una sonora lezione per i Repubblicani ma anche per il Partito democratico. Hillary Clinton vince in 4 dei 5 Stati dove si votava (Sanders conquista il Rhode Island), ma secondo Trump la democratica “manca della forza e della capacità di resistenza necessarie” per governare.
L’Occidentale segue Trump da tempo, e da tempo ha scommesso sulla sua possibile vittoria. Quando nel nostro paese persino personaggi insospettabili e giornali come il Foglio guardavano con sufficienza lo scorrettissimo e un po’ smargiasso Donald, noi abbiamo ascoltato con interesse (e gran divertimento) i suoi discorsi, letto il suo programma, trovato ragionevole la sua linea in politica estera. Trump può vincere, se l’establishment repubblicano sarà abbastanza lungimirante da lasciarlo correre, e può rappresentare un vero cambiamento: il primo vero cambiamento per gli Usa dopo anni.
Ma forse basterebbe, a farci tifare Trump, il rito della scomunica hollywoodiana (quante volte l’abbiamo visto anche in Italia) con la sfilza dei soliti noti ad annunciare che, se vincesse il Don, lascerebbero il paese. Trump se la ride e rincara la dose (adesso davvero devo vincere, ribadisce, sghignazzando), e ha ragione perché in genere queste dichiarazioni non portano fortuna, basta pensare a quanti giuravano che avrebbero abbandonato l’Italia se Berlusconi avesse vinto, e poi hanno passato il ventennio berlusconiano comodamente accasati tra Mondadori e Mediaset.
Torna alla mente il grande Tom Wolfe, che non è soltanto l’autore del Falò delle vanità, ma l’uomo che ha coniato il termine radical-chic, titolando così un suo spassoso pamphlet del 1970 in cui narrava una surreale ed esilarante serata mondana newyorkese a casa del maestro Leonard Bernstein, tra milionari, intellettuali, celebrities e pantere nere. Wolfe, dopo la vittoria di Reagan, concluse un’intervista dicendo al suo interlocutore: “Adesso la devo lasciare, vado all’aereoporto”. “Parte?” chiese il giornalista. “No. Voglio salutare tutti i miei amici intellettuali che hanno promesso di emigrare se Reagan fosse diventato presidente”.