Perché Mattarella ha ragione

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Perché Mattarella ha ragione

26 Aprile 2017

Fin qui possono essere individuate tre fasi che hanno scandito questa tormentata legislatura. La prima è stata quella della “grande occasione”: un governo di emergenza con la mission di rafforzare la coesione nazionale attraverso riforme condivise e, per il possibile, un risanamento dei conti che passasse innanzi tutto per un contenimento della spesa pubblica. E’ durata quanto l’esecutivo presieduto da Enrico Letta.

A questa prima fase ne è succeduta un’altra, che si potrebbe definire della “spinta pseudp-carismatica”: inizia con la conquista da parte di Renzi del doppio ruolo di segretario del Pd e di presidente del Consiglio, passa per il patto del Nazareno, sfocia nella pretesa di vincere il referendum contro tutti e nella sconfitta del 4 dicembre. 

Segue quella che Italo Calvino avrebbe definito “la grande bonaccia”: un tempo di sospensione, scandito dal sottofondo delle primarie Pd. Questo tempo può essere interpretato come consapevolezza degli errori compiuti o, al contrario, come tentativo di recuperare una legittimità interna al proprio partito da scaricare immediatamente sul sistema. “Provaci ancora Mat”, come prima e più di prima, come se niente fosse successo.

Purtroppo molti segnali fanno presagire che sarà questo secondo scenario a imporsi. I tamburi di guerra si odono già in lontananza. 

Dopo il 30 aprile e la probabile vittoria di Renzi alle primarie ci aspetta insomma l’apertura della quarta fase: il ritorno alla fibrillazione. Già si parla di dimissioni del premier Gentiloni per mettere la data delle elezioni nella disponibilità di Renzi e delle sue convenienze, e addirittura c’è chi ipotizza che l’attuale maggioranza, dopo averlo fortemente voluto e avergli attribuito poteri eccezionali, vorrebbe la testa del direttore generale della Rai Antonio Campo Dall’Orto. E in Italia è noto che quando si compie la stretta sull’informazione pubblica è perché le elezioni sono alle porte. 

Ora, una cosa è certa: la legislatura è sostanzialmente finita. Il problema non è quello di votare due mesi prima o due mesi dopo. Anzi, prima si volterà pagina e meglio sarà per l’Italia. Il problema è come arrivarci. 

Il Paese si trova oggi in condizioni peggiori rispetto all’inizio della legislatura. E’ più lacerato perché sono state compiute forzature istituzionali che in altri tempi avrebbero suscitato girotondi e insurrezioni (e la coda di paglia è talmente lunga che se uno prova a ricordarlo con un battuta su Twitter si scatena un pandemonio, a me è successo di recente). I conti sono ancora più in disordine perché la spesa è stata usata come leva di consenso e perché la crescita è stata perseguita – peraltro invano – attraverso la prevalente creazione di nuovo debito chiamato, per pudore, “flessibilità”. Non si dispone di una legge elettorale che sia al riparo da nuove censure della Corte Costituzionale (l’ultima sentenza dice con chiarezza che la legge della Camera e quella del Senato devono essere rese congruenti). Infine, la fragilità complessiva espone l’Italia più che mai ai riflessi di una situazione internazionale che, nel frattempo, non è diventata certo più semplice.

In queste condizioni si vada a votare anche domani, ma senza che l’onere di mettere riparo alle crepe economiche causate da una politica dissennata sia interamente scaricato sul governo che verrà. E, soprattutto – ce lo ha ricordato il Capo dello Stato sollecitando Camere e gruppi in tal senso -, non senza che si sia adempiuto all’obbligo di dare ai cittadini un sistema di voto certamente costituzionale e che elegga un Parlamento pienamente legittimato. Tutto ciò non può essere giocato al tavolo da poker di una brama di rivincita.

La nostra Costituzione designa la figura istituzionale più di ogni altra preposta a fare tutto ciò che può per scongiurare questi scenari. E il Presidente della Repubblica, con un intervento misurato e appropriato, si è mostrato consapevole di questi rischi. E’ il caso di dargli ascolto.

(tratto da Huffington Post)