Petraeus: “L’impegno americano in Iraq non è ancora terminato”

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Petraeus: “L’impegno americano in Iraq non è ancora terminato”

11 Settembre 2007

Tra i punti salienti del rapporto di Petraeus, troviamo, in particolare, la  previsione del ritiro di 30 mila truppe entro la prossima estate (a partire da 2 mila marines già alla fine di questo mese e da una brigata di 3.5-4 mila soldati a dicembre). “Credo che saremo in grado di ridurre le forze al livello di brigate da combattimento precedente al surge entro la prossima estate, senza mettere a rischio la sicurezza raggiunta che abbiamo combattuto così duramente per ottenere”. Dal momento che è prematuro stabilire una tabella di marcia per il ritiro graduale delle truppe, il generale consiglia di aspettare marzo 2008 prima di prendere decisioni definitive sulla questione.  

Ovviamente, i piani del comandante non hanno soddisfatto i democratici. Diversi esponenti della maggioranza accusano il report di essere stato confezionato appositamente dalla Casa Bianca. Per i democratici, dunque, hanno avuto poco peso le parole di Petraeus, che in apertura ha voluto precisare di essere l’unico autore del report: “Ho scritto questa testimonianza io stesso. Non è stata approvata da nessuno del Pentagono, della Casa Bianca o del Congresso”. In realtà, non sarebbe stato necessario offrire garanzie sulla propria buona fede, ma Petraeus vi è stato costretto dalle insinuazioni dei democratici, culminate con la vergognosa pagina del New York Times comprata dal movimento pacifista Moveon.org, che ne distorce il nome in “Betray Us”, un gioco di parole con cui si vuol far passare il generale per traditore della patria. Se i congressmen repubblicani denunciano il cattivo gusto della pubblicità, che insulta l’uomo che rappresenta i soldati americani in Iraq, i colleghi democratici non la difendono, ma neppure la denunciano. 

I critici più agguerriti del report sostengono, come il senatore Dennis Kucinich, candidato alla presidenza, e Lynn Woolsey della camera dei Rappresentanti, che Petraeus “sta lasciando le truppe nel mezzo di una guerra civile” e che, come Chris Van Hollen, anch’egli della camera dei Rappresentanti, “gli uomini e le donne in servizio si sacrificano ogni giorno per una polizza che non ha fine”. 

Il generale ha ribattuto che una partenza prematura dall’Iraq permetterebbe ad Al Qaeda di rioccupare il terreno perduto, lasciando in balia dell’instabilità molte aree dove le condizioni di sicurezza sono sensibilmente migliorate. Secondo Petraeus gli obiettivi del “surge” sono stati in larga misura raggiunti. Col supporto di grafici e tabelle, ha mostrato come il numero degli incidenti legati al mantenimento della “sicurezza” e dei morti civili sia decresciuto nelle ultime otto settimane, con il record più basso dal giugno 2006 registrato negli ultimi 15 giorni. Inoltre, Al Qaeda ha subito pesanti perdite e lo stesso dicasi per le milizie sciite supportate dall’Iran, con la cattura del leader e di numerosi altri esponenti dei gruppi speciali e di un operativo dell’Hezbollah libanese. Petraeus ha altresì  espresso la sua preoccupazione per la Guardia Rivoluzionaria iraniana, che si serve della famigerata milizia Quds per destabilizzare la situazione in Iraq, con sequestri di ufficiali iracheni, l’uccisione di soldati americani e attacchi missilistici alla zona verde di Baghdad.  

Il generale ha poi spiegato che il modello Anbar, dove le tribù locali si sono schierate con la coalizione guidata dagli americani e con l’esercito iracheno contro Al Qaeda, si è diffuso in altre parti del paese, e che se è pur vero che le rivalità etniche e confessionali per la ripartizione delle risorse proseguono, bisogna attendere i prossimi mesi per vedere come i dissidi verranno risolti, se con il ricorso alla violenza o con il raggiungimento di un accordo. Sul tanto criticato esercito iracheno, infine, Petraeus dice: “Ha combattuto e sofferto molte perdite, e hanno diretto operazioni in molte aree”.

D’altro canto, i progressi diplomatici in Iraq non sono stati positivi quanto quelli militari. I democratici hanno attaccato molto duramente il governo di Al Maliki che non riesce ancora a trovare un accordo tra le diverse fazioni. L’ambasciatore Crocker, tuttavia, ha difeso Maliki e gli altri politici iracheni perché “devono affrontare enormi ostacoli nei loro sforzi di governare efficacemente”. Dice Crocker che “i semi della riconciliazione sono stati piantati” e che i leader impegnati nel processo politico sono favorevoli al mantenimento delle truppe americane finché ogni divergenza non sarà superata. 

Il nodo cruciale da sciogliere, secondo Crocker, riguarda la scelta tra un’autorità centrale o federale. La responsabilizzazione dei poteri a livello locale, comunque, è un principio che sta prendendo piede in molte comunità. In conclusione, Crocker si unisce a Petraeus, mettendo in guardia dal procedere a un ritiro prematuro delle truppe perché avrebbe gravi conseguenze: “L’Iran gioca un ruolo distruttivo in Iraq. Il nostro corso è duro. L’alternativa è molto peggio”.  

Un’ultima nota di cronaca. L’audizione al principio è stata disturbata da un gruppo di dimostranti pacifisti prontamente spediti fuori dall’aula dal senatore Ike Skelton, capo del comitato per le Forze Armate e moderatore dell’audizione, che ha parlato di comportamento “intollerabile”. In seguito alcuni dimostranti sono stati arrestati.