Perché non è un tabù cambiare le “unioni”
31 Gennaio 2018
Intervenendo ad un incontro sul crollo della natalità ho spiegato che per far risalire le nascite non bastano i provvedimenti di sostegno alle famiglie, ma che è necessaria, anche, una vera e propria “rivoluzione culturale”. Tutta l’Europa, infatti, è sotto il cosiddetto tasso di sostituzione, cioè non fa abbastanza figli da riequilibrare le morti, e all’orizzonte c’è un futuro di desertificazione demografica. Questo avviene nei paesi ricchi come in quelli con minori risorse, in quelli che hanno un ottimo welfare come in quelli che non l’hanno, dove c’è lavoro e dove la disoccupazione è alta. Per capirlo, basta guardare Francia e Germania: la prima, nonostante le sue famose politiche di accompagnamento e sostegno alla genitorialità (che pure sono state “tagliate” negli ultimi tempi…), è entrata ormai nel cono d’ombra demografico che affligge tutti i paesi europei; la seconda, che è, nella Ue, la nazione con le migliori performance economiche, è addirittura ultima (dopo l’Italia) nella triste classifica della denatalità.
E’ evidente quindi che è necessario un impegno fortissimo per invertire la rotta, per ricordare alle nuove generazioni che fare figli è uno straordinario arricchimento esistenziale, che il matrimonio – l’impegno ad amarsi per sempre – è un bisogno profondamente radicato nel cuore umano, che queste scelte comportano forse piccoli sacrifici ma sono anche una promessa di felicità. Ma come fare questo se, nel frattempo, alcune pessime leggi hanno ferito l’idea stessa di famiglia, se il modello di felicità che ci viene ossessivamente proposto e quasi imposto è quello di un appagamento di ogni desiderio qui e ora, se non si rispetta l’ecologia umana, se la procreazione è ormai affidata al compra, vendi e affitta, e a nuove forme di sfruttamento? Le leggi che gli ultimi governi hanno fatto passare, sempre con l’imposizione della fiducia o con forzature parlamentari, e che sono pubblicizzate come leggi proiettate verso il futuro, leggi che aprono nuove frontiere dei diritti individuali, sono perfettamente allineate alla cultura dell’equivalenza tra desiderio e diritto e della destrutturazione della famiglia. La legge sulle unioni civili, per esempio, a mio avviso apre in modo ipocrita (cioè senza affermarlo apertamente) l’adozione da parte delle coppie gay, e soprattutto il ricorso all’utero in affitto all’estero, con la certezza che, tornando in patria, il riconoscimento del bimbo avverrà senza alcun problema e alcuna sanzione. I (pretesi) diritti di alcuni includono dunque una delle peggiori forme di sfruttamento delle donne, e una violenta negazione del diritto del bambino non solo ad avere una madre e un padre, ma, se appena è possibile, la propria madre e il proprio padre. Anche la legge sul biotestamento, votata in fretta e furia alla fine della legislatura, è aperta all’eutanasia, e improntata tutta alla distruzione del favor vitae, cioè a far prevalere la scelta di morte a quella di vita. Come possiamo promuovere politiche a favore della natalità in queste condizioni?
Per la rivoluzione culturale che ci serve, queste leggi vanno sostituite, o radicalmente trasformate. Solo con un gesto politico forte si potrebbe dare un segnale di vera inversione di rotta. Questo non significa negare i diritti, come quello alla libertà di cura, o rifiutarsi di riconoscere i diritti personali dei conviventi: occorre però farlo con leggi diversamente impostate, frutto di una cultura politica che sappia conservare l’essere umano e le sue relazioni fondamentali nell’ incrocio di natura, cultura e storia, senza cadere nelle distruttive utopie dell’ “uomo nuovo”, che hanno già funestato il Novecento.
Ma, come è successo sull’aborto, anche queste leggi, in particolare quella sulle unioni civili, stanno diventando un totem intoccabile. Per aver osato parlare di “abrogarle o cambiarle radicalmente” sono stata attaccata in modo violentissimo e minaccioso sul web, e politici di peso si sono affrettati ad accusarmi di “oscurantismo” e “passi indietro” (cito solo le reazioni meno aggressive). Proprio per questo, però, sono convinta che il problema vada posto con forza, subito, e che i politici che sono a favore della vita e della famiglia debbano assumere adesso, davanti agli elettori, l’impegno a fare di tutto per cambiare queste leggi. Io voglio farlo.
Tratto da Avvenire