“Il figlio sospeso”, il dramma dell’utero in affitto raccontato in un film
01 Febbraio 2018
Non è mai facile raccontare con un film le ferite più profonde del cuore e della mente, soprattutto se a provocarle è un trauma relativamente “nuovo” come potrebbe essere lo scoprire di essere nato da una madre che ha dato il suo utero in affitto. Egidio Termine, regista de “Il figlio sospeso”, lo fa però molto bene. Il tono della narrazione del film, uscito anche a Roma (a Milano il 5 e 6 febbraio al cinema OSOPPO), è pacato, mai urlato, eppure fortemente incisivo perché tarato sulla forza delle emozioni che suggerisce. Come a dire che non c’è bisogno di alzare la voce per far capire che il legame tra una madre e suo figlio è potente, unico, impossibile da rinnegare.
Il peso del dolore vissuto dal protagonista, Lauro (Paolo Briguglia), giovane fotografo in cerca della propria identità, è attutito dai ricordi che, numerosi, irrompono nella storia; flashback dal passato che diluiscono il suo (quasi) inconsapevole tormento. Lauro ha perso il padre in un incendio quando aveva appena due anni. Le cicatrici sulle mani nascoste sempre dai guanti gli ricordano che c’era anche lui, e che si è salvato. La madre Giacinta, infermiera in un istituto religioso, lo ha cresciuto da sola evitando il più possibile di parlargli del suo papà. Un giorno trova un indizio che lo spinge a credere che il padre avesse avuto, in Sicilia, una relazione dalla quale è nato un bambino. Così parte, va sull’isola a cercare Margherita (Gioia Spaziani), una pittrice affermata che lui pensa possa essere la chiave per risolvere il mistero.
L’intesa tra i due è subito “speciale”, spontanea. Non hanno bisogno di tante parole per parlarsi, usano piuttosto gli sguardi. Margherita è sua madre, la donna che, per soldi, aveva accettato di “fittare” il suo utero alla coppia di vicini di casa che non poteva avere figli. Aveva amato da subito quel bambino nel suo grembo e lo avrebbe tenuto con sé, rompendo così l’accordo, se non si fosse improvvisamente ammalata di tumore. E’ solo per questo che, appena messo al mondo, lo ha lasciato andare.
Il chiarimento tra Margherita e Lauro, mamma e figlio, non è parlato, dichiarato, ma semplicemente percepito, intuito in tutta la sua chiarezza. La verità è racchiusa in un diario fatto di disegni e bozzetti colorati che la madre ha tenuto a custodia del suo segreto e che, dopo anni, affida al giovane uomo che è diventato suo figlio. E’ la prova del suo amore non vissuto. Giacinta, la donna che Lauro chiama “mamma”, rimane al margine della storia. Ciò che non ha mai avuto il coraggio di raccontare al bambino che ha cresciuto si è negli anni trasformato in un fardello pesante e ingombrante. La menzogna finisce per logorare la sua stessa vita facendogli capire, sul finale, che confessare di non aver mai partorito suo figlio è forse l’unico modo per non rischiare di perderlo.