Calenda, quel profeta di Bruxelles rimasto soldato semplice in patria

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Calenda, quel profeta di Bruxelles rimasto soldato semplice in patria

28 Marzo 2018

Calenda, profeta di Bruxelles (e Parigi e Berlino) è poco ascoltato in patria. Se l’Europa entra in tensione, un attacco sull’Italia può partire rapidamente”. Carlo Calenda, in un’intervista a Federico Fubini sul Corriere della Sera 27 marzo, argomenta distesamente sul fatto che, in ultima istanza, conterà molto di più il parere della Commissione europea e dell’asse franco-tedesco di quello del Parlamento italiano. Alla domanda su quanto quelli del Pd lo ascoltino su questa impostazione, poi, risponde: “Non saprei. Mi sono iscritto, ho fatto due riunioni in sezione e ho presenziato alla direzione. Fine”. Insomma a Roma non lo cerca più nessuno. Però chissà quante telefonate riceve da Bruxelles, Parigi e Berlino.

Ma il centro che invoca Panebianco deve nascere dai processi reali o da una nuova invenzione dall’alto? “Nessun bipolarismo può diventare durevole se la sua affermazione si accompagna allo ‘squagliamento’ del centro”. Come al solito Angelo Panebianco sostiene tesi interessanti anche nel suo editoriale del 28 marzo sul Corriere della Sera, ma che hanno il vizio di essere in questo caso particolarmente astratte. La scienza politica moderna nasce con l’affermazione di Niccolò Machiavelli nel Principe che “sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa”. La verità effettuale delle cose italiane è che si è voluto costruire dal 2010 in poi un “centro” autonomo dalla destra e dalla sinistra, e sostenuto essenzialmente dall’alto, prima dall’intesa Merkel-Sarkozy-Obama (con annessa guerra libica) per Mario Monti, poi con un asse franco-tedesco per Enrico Letta (che pur non spiaceva ai democratici americani), poi con un’egemonia più americana, via Mario Draghi e Raffaele Cantone, con Matteo Renzi. La crisi politica attuale nasce dal fallimento del “centro” dall’alto, e il processo di assestamento in atto, il tentativo di ricomposizione di un nuovo equilibrio, è guidato da settori della società che non digeriscono di essere gestiti dall’alto e vogliono dunque essere rappresentati. Un esito, di questo tentativo, non impossibile è un bipolarismo Lega-Cinquestelle dove a destra Forza Italia rappresenterà la spinta verso il centro, e a sinistra i Nicola Zingaretti, i Sergio Chiamparino, le Leghe delle cooperative rappresenteranno la moderazione dello schieramento a guida grillina. Una via di uscita complessa però dentro la realtà effettuale delle cose. Immaginarsi un centro trainato da Emmanuel Macron (il neo piccolissimo Napoleone) e dall’azzoppata Angela Merkel, che riprenda il controllo dall’alto della politica italiana, è peggio che sbagliato, è ridicolo. Nuovi commissariamenti dell’Italia (come sempre non impossibili) produrranno solo una ulteriore disgregazione di cui non si possono prevedere gli sbocchi, non un “nuovo centro” del sistema politico.

Il fattore “D” e la prossima fase della Repubblica. Se noi ai cittadini presentiamo un altro candidato premier, non eletto dai cittadini determiniamo il definitivo allontanamento dalla politica”. A dirlo a Radio 24, è l’esponente del Movimento 5 stelle, e candidato ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, intervistato da Luca Telese e Oscar Giannino. Così sul Fatto online del 27 marzo. Già qualche giorno prima al Corriere della Sera del 23 marzo Luigi Di Maio aveva dichiarato come gli spettasse di diritto la premiership: “Noi abbiamo il 36% dei deputati  siamo il primo partito d’Italia: come si spiegheranno agli italiani?”. Il grillismo è frutto diretto della lunga stagione della demagogia italiana che ha le sue radici nell’invenzione della questione morale da parte di Enrico Berlinguer, nell’invenzione santoriana della “piazza”, nei linciaggi mediatici della stagione di Mani pulite, nella persecuzione – da parte di Gian Carlo Caselli e i suoi – di Giulio Andreotti, nell’invenzione del termine inciucio, nell’invenzione -dell’Espresso – del Dalemoni, nella persecuzione pubblica da parte di Ilda Bocassini delle sporcacciate private di Silvio Berlusconi, nell’invenzione della lotta alla casta politica da parte della casta industriale di Luca Cordero di Montezemolo e di quella mediatica di Paolo Mieli -Gian Antonio Stella, nell’invenzione della leadership di Gianfranco Fini, nell’invenzione di un governo Monti, nell’invenzione di un governo di unità nazionale che espelle dal Senato uno dei due partner di questa unità, nella geniale elezione da parte di Pierluigi Bersani a presidenti delle Camere di due marziani come Laura Boldrini e Piero Grasso, nei proclami di rottamazione di Matteo Renzi. Se partiamo dal 1983 sono 35 anni che si droga in un modo o nell’altro l’opinione pubblica. Matteo Salvini e Berlusconi, due persone di buon senso, dovranno tenere conto di come la politica italiana sia segnata dal fattore “D” cioè “demagogia” e dovranno fare mosse che rivelino sempre gli aspetti deliranti-demagogici di alcune pretese dei grillini man mano che si manifestano, a iniziare da quella di ritenere che il 32,7 % corrisponda al 51 % dei voti. Passo dopo passo si dovrà far esprimere Camera e Senato per fare chiarezza di fronte a tutti i cittadini sui reali rapporti di forza parlamentari e nel Paese. Così, a occhio, poi l’esito più realistico sarebbe andare a votare il più presto possibile in modo che la solida parte del Pd  protesa a saldarsi ai Cinquestelle, magari portando con sé persino un minimo di intelligenza politica, raggiunga il suo obiettivo tramite un voto popolare, non intrigo dopo intrigo. E, come credo, sia battuta in seguito da un centrodestra che con tutte le sue pecche ha un più alto profilo di governo.

Come si capisce male la recente storia politica italiana guardandola da un’amaca. La spiegazione storica del grillismo potrebbe essere (come la Dc, e dopo Berlusconi) l’ennesima trovata di questo geniale Paese per scrollarsi di dosso la sola minaccia che avverte come aliena”.  Michele Serra sulla Repubblica del 28 marzo scrive che secondo lui i grillini potrebbero essere stati inventati per impedire alla sinistra di governare l’Italia “la sola minaccia che” la nostra società “avverte come aliena”. Mi pare l’ennesima dimostrazione di come da un’amaca non si riesca a capire nulla di quel che succede. Il nucleo fondante del grillismo, il partito Rai (Pippo Baudo + Rai3)  e il partito della magistratura militante corrisponde in modo notevole a quel che è stata educata a pensare parte fondamentale dell’opinione pubblica di sinistra italiana. Non per nulla Grillo, che non è uno stupido, voleva partecipare alle primarie del Pd e solo quel poveretto di Piero Fassino gli impedì di farlo, dicendogli profeticamente: “se ti credi così bravo fai un partito tuo, e vediamo quanti voti prendi”. Pierluigi Bersani politico trepidante ma persona intellettualmente onesta cercò di rimediare a questo evidente errore (quello cioè di non tenere insieme testa e pancia della sinistra) nel 2013, e fu sconfitto dai vari governi Letta e Renzi. Certo, in quel che dice Serra c’è un elemento di verità: una parte del’establishment ha la responsabilità di aver lanciato il grillismo. La campagna del 2007 anti casta politica avviata dalla Confindustria montezemoliana e dal Corriere mielista fu fondamentale nel creare le basi di massa dei Cinquestelle, però fu pensata, fallito rapidamente il governo Prodi, per bloccare Silvio Berlusconi, non la sinistra.