Se Macron è il Maurizio Martina dell’Occidente
02 Maggio 2018
Renzi vorrebbe essere come Macron. Ma secondo il Financial Times Macron è come Martina. “To lead you have to have followers”. Gideon Rachman sul Financial Times del primo maggio descrive le mosse di Emmanuel Macron per diventare leader dell’Occidente. Il presidente francese è molto attivo ma da Angela Merkel a Donald Trump non lo seguono, e per essere un leader devi avere dei followers cioè chi ti segue. Esagerando paradossalmente, si potrebbe dire che il quotidiano della City sostenga come, mentre Matteo Renzi vorrebbe essere Macron, quest’ultimo tenda a diventare una specie di Martina (Maurizio).
Il nostro Masaniello cinque stellato se l’è cavata bene rispetto all’originale, anche se la difesa che ne fa il suo pagliaccio-in-chief è veramente scarsina. “La richiesta di elezioni anticipate rivolta dal leader M5s Luigi Di Maio a Matteo Salvini, con urne aperte addirittura a giugno, è una suggestione irrealizzabile nella pratica”. Così scrive Andrea Gagliardi su Il Sole 24 ore del 30 aprile. Dopo che per qualche settimana la stampa dell’establishment ha corteggiato il candidato premier dei 5S, quasi comparandolo a un nuovo Alcide De Gasperi, adesso non mancano quelli che ne riconoscono l’evidente pochezza. Credo poi che potrebbe essere interessante comparare l’insorgenza istituzionale grillo-dimaiana alla rivolta guidata da Masianello il 7 luglio del 1647 e animata dalla lotta contro le gabelle imposte a Napoli dal vicere spagnolo. Questa sollevazione si concluse dieci giorni dopo, quando i ribelli si convinsero che il loro capo era pazzo. Sergio Mattarella invece ha concesso a Giggino, dal 5 marzo al 29 aprile, ben 45 giorni in più di quelli che ebbe a disposizione Tommaso Aniello d’Amalfi, l’antico ispiratore, e peraltro poi il nostro non è neanche stato mazzato dai suoi che, dal Molise al Friluli, si sono limitati a votare per Matteo Salvini. Va notato, peraltro, come sia assai poco convincente la difesa che gli offre il suo capo strategico, il noto comico genovese: “Beppe Grillo scende in campo in difesa di Luigi Di Maio dopo la chiusura di Matteo Renzi ad un’intesa tra MoVimento 5 Stelle e Partito democratico. ‘L’entusiasmo di Luigi viene propagandato come fosse bramosia di potere’”. Così Silvana Palazzo riporta su Il Sussidiario del 30 aprile le parole di Grillo. Insomma non è che Giggino “brami il potere”, è che “è entusiasta”, evidente eufemismo per fesso. Non sono più comunista, anzi sono sempre più conservatore, certo però assistendo a certi spettacoli non posso non ritrovarmi in un’antica frase di Palmiro Togliatti: “Fuori i pagliacci dal campo della lotta”.
Avvoltoio non dovrebbe mangiare avvoltoio? “Non mi è piaciuto l’attacco a Serra. Crozza è stato velenoso” dice Sergio Staino a Maria Corbi sulla Stampa del 29 aprile. Insomma un avvoltoio non dovrebbe mangiare un avvoltoio?
Caro Franceschini, un leader anche minore quando ha subito una inaudita rotta, dovrebbe almeno un po’ trattenersi. “Un vero leader rispetta una comunità anche quando non la guida più” Così una frase di Dario Franceschini riportata dalla redazione politica del sito del Corriere della Sera del 30 aprile. Il povero Maurizio Martina che distribuisce dichiarazioni vigorose del tipo “stiamo vivendo una situazione politica generale di estrema delicatezza” come riporta un lancio dell’Agi del 30 aprile, suscita la fortissima tentazione di chiedere l’intervento dell’Opera maternità e infanzia per proteggere un pupo sperduto. Mentre l’ormai quasi ex ministro della Cultura si trascina dietro, dichiarazione dopo dichiarazione, un’invincibile alone di non credibilità. Se Franceschini volesse conservare un minimo di dignità e onesta intellettuale, prima di dare lezioni agli altri, dovrebbe riflettere innanzi tutto sul risultato personalmente ottenuto nel collegio della città dove è cresciuto politicamente. Ferrara. In quella che fu la capitale del ducato degli Estensi, nella Prima repubblica le due forze che poi hanno composto il Pd, cioè il Pci (oltre il 45 %) e la Dc, guidata dalla sinistra del partito (oltre il 22 %), prendevano due terzi dei voti dell’elettorato. Il nostro “ministro” ben sostenuto dal governo ha preso il 25 %. Finché non avrà spiegato questa straordinaria performance quello che si considera pupillo di Benigno Zaccagnini, dovrebbe avere almeno il pudore di non esibire alcun tipo di spocchia.