Il pensiero di Marx è tramontato, la vulgata, purtroppo, no

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Il pensiero di Marx è tramontato, la vulgata, purtroppo, no

06 Giugno 2018

Il marxismo è stato la religione secolare di una delle parti che nel corso del Secolo breve – dalla rivoluzione di ottobre del 1917 fino all’implosione dell’impero sovietico – hanno animato quella che è stata efficacemente definita “la guerra civile europea”. E a Karl Marx, suo principale ideatore, poco prima che la storia s’incaricasse di notificarne la sconfitta, l’onore delle armi fu reso proprio dal filosofo che più di ogni altro nel XX secolo si era impegnato nell’opera di falsificazione e confutazione del pensiero marxista.

Karl Raimund Popper, infatti, nella sua fondamentale opera La società aperta e i suoi nemici II. Hegel e Marx falsi profeti, mentre liquida Hegel come «un clown divenuto creatore di storia», contestando sia i suoi fondamentali dottrinali sia la miseria umana dalla quale essi sarebbero scaturiti, esprime una sincera ammirazione per Marx: per il suo umanesimo innanzi tutto, ma anche per l’onestà dei suoi intenti e per la profondità del suo pensiero. «Ci ha aperto gli occhi e ce li ha resi più acuti – scrive Popper -. Un ritorno alla scienza pre- marxiana è inconcepibile. Tutti gli autori contemporanei hanno un debito nei confronti di Marx, anche se non lo sanno».

Eppure non si può certo negare la derivazione hegeliana del pensiero marxista. Quest’ultimo adotta infatti appieno il modello della dialettica di Hegel, ovvero l’assunto che postula lo sviluppo triadico dei processi storici secondo lo schema tesiantitesi e sintesi. Lo storicismo marxista tuttavia, a differenza di quello hegeliano, è di natura economica e non ideale, giacché individua nell’organizzazione dei processi di produzione e scambio economico i fattori fondamentali dello sviluppo storico. Questa differenza finisce col complicare ulteriormente le cose: se infatti lo schema triadico appare già di per sé problematico e improbabile in ambito ideale, applicato a un approccio materialistico ed economico assume caratteri quasi fideistici.

In tal senso, l’assunto secondo il quale alla tesi “sistema feudale” si contrapporrebbe l’antitesi “capitalismo” per giungere in fine alla sintesi “socialismo” caposaldo del materialismo dialettico di Marx – appare più come un dogma da accettare che come una spiegazione razionale del processo storico.

Non è comunque qui che risiede la parte meno caduca del pensiero di Marx: quella, per intenderci, che ha spinto Popper a dichiarare il debito imperituro della scienza sociale nei confronti del padre del comunismo. Il nocciolo duro della sua elaborazione, piuttosto, è il tentativo (riuscito) di liberare il pensiero socialista da un impianto moralistico e sentimentale, per ancorarlo a una solida base scientifica.

Quello delineato da Marx, dunque, non è innanzitutto un programma e nemmeno una dottrina politica. E’ in primis un metodo di analisi della società, che gli fa ritenere che il moto verso l’approdo socialista non sia rimesso a un’opzione dipendente dalla volontà degli uomini quanto, piuttosto, alla ‘ inevitabile’ deriva dell’evoluzione del sistema sociale. In altri termini, per Marx l’affermazione di una società socialista è inscritta nell’evoluzione della storia e gli uomini non possono certo saltare questa fase o impedire che si realizzi. Essi, al più, potrebbero «abbreviare e attenuare le doglie del parto».

Sotto tale profilo il pensiero marxiano è rigidamente determinista, ma proprio questo suo carattere appare ai nostri occhi come uno dei suoi punti di maggior debolezza: all’applicazione di un metodo deterministico Marx aveva affidato la pretesa scientificità delle sue tesi, ma la moderna filosofia della scienza ha ormai inequivocabilmente sancito che l’equivalenza fra metodo scientifico e determinismo è priva di fondamento.

Eppure, se chiudessimo qui la partita – se ci limitassimo, cioè, a constatare con gli occhi dei contemporanei quanto infondata sia la pretesa scientificità del pensiero marxista -, rischieremmo di compiere due errori: innanzi tutto ci sfuggirebbe la cognizione dell’evoluzione impressa da Marx allo sviluppo delle scienze sociali; in secondo luogo perderemmo di vista la distanza che lo separa dalla maggior parte dei presunti emuli che, nel corso del XX secolo, hanno cercato di tradurre in pratica il suo insegnamento ( per tacere di quanti, nel tentativo, si attardano ancora oggi).

Il fatto è che, all’atto della sua elaborazione, il socialismo “presunto” scientifico di Marx non si è presentato come una tecnologia sociale che indicasse modi e mezzi per costruire una società socialista quanto, piuttosto, come una teoria “presunta” scientifica che individuasse i meccanismi evolutivi del sistema sociale e ne prevedesse gli esiti. Marx, infatti, rigetta ogni forma di ingegneria sociale: la declassa al rango di “sovrastruttura” che, a suo avviso, risulterebbe del tutto impotente in assenza di un’evoluzione profonda dei rapporti economici sottostanti.

Sotto questo aspetto – e solo sotto questo aspetto – si potrebbe persino notare una paradossale assonanza fra Marx e uno dei padri del pensiero liberale contemporaneo, Hayek, che ha fatto del rifiuto del costruttivismo istituzionale uno dei suoi cavalli di battaglia.

Marx dunque, adottando un approccio puramente storicista, contesta radicalmente lo psicologismo che aveva dominato nelle scienze sociali fino al XVIII secolo e, foss’anche solo per questo, rappresenta una pietra miliare della moderna sociologia. Nel suo pensiero il ruolo fondamentale è occupato dalle classi sociali: «La storia di ogni società sinora esistita – scrive – è storia di lotte di classi». Egli individua nella lotta fra la classe capitalistica e la classe proletaria il motore fondamentale dell’evoluzione storica del XIX secolo. E in particolare scorge una tendenza verso la contrazione della classe borghese e la corrispondente espansione del proletariato, destinata a determinare le condizioni per il crollo del capitalismo e l’avvento del socialismo. Già Von Mises, nella sua magistrale opera Socialismo, si era incaricato di dimostrare, dal punto di vista del calcolo economico, quanto infondata fosse questa previsione. I successivi sviluppi storici sono stati ancora più persuasivi, al punto che già nel XX e ancor più nel XXI secolo, nelle società occidentali, abbiamo assistito al processo diametralmente opposto: la progressiva borghesizzazione di sempre più ampi settori del proletariato.

Lo storicismo economico marxiano si articola essenzialmente in tre fasi. La prima, il processo di espansione e crollo del capitalismo; la seconda, la rivoluzione sociale che ne consegue; la terza, la costruzione di una società socialista senza classi. Mentre nelle sue opere principali si concentra molto sulla prima fase, Marx lascia del tutto indeterminate le altre due. In particolare il terzo stadio appare completamente nebuloso: non vengono in alcun modo approfondite le ragioni del presunto nesso causale tra la rivoluzione socialista e una società senza classi.

Questo aiuta a comprendere le difficoltà storiche alle quali andarono incontro quanti provarono a mettere in pratica i suoi insegnamenti. In particolare, la totale indeterminatezza delle modalità di costruzione della società socialista fu evidente già quando, dopo la rivoluzione di Ottobre, Lenin si misurò con l’arduo compito di edificare un nuovo modello sociale sulle ceneri del comunismo di guerra: in assenza di qualunque strategia preordinata, nel 1921 si risolse ad adottare la Nuova Politica Economica, che riprendeva alcune opzioni tipiche del capitalismo. Ancor più emblematico, a tale riguardo, appare lo scontro finale che dopo il tramonto di Lenin andò in scena tra Trotsky, Stalin e Bukharin su come sviluppare la rivoluzione socialista su scala mondiale.

Se tuttavia alcune delle difficoltà storiche dei seguaci trovano spiegazione nelle carenze e nei limiti del pensiero marxiano, altre si devono invece a un deficit di comprensione e alla conseguente riduzione a “vulgata” ideologica. In particolare – lo si è già accennato – nell’analisi di Marx non trovano alcuno spazio elementi riconducibili alla volontà degli attori sociali, quali il desiderio di profitto, la cupidigia, la brama di potere.

Per Marx non è la volontà dei capitalisti ad aver creato il sistema capitalistico, ma la logica stessa del sistema sviluppatosi quando i progressi e l’evoluzione tecnologica hanno determinato il tramonto del feudalesimo. In tal senso, in conclusione, non si può fare a meno di notare la distanza siderale che corre tra il rigore del pensiero marxiano e la vulgata dei movimenti ‘ volgarmarxisti’ (la definizione è di Popper) che vedono in fenomeni come le guerre, la fame, la disoccupazione una sorta di cospirazione delle classi capitalistiche contro il proletariato oppresso. Viviamo in un’epoca nella quale il pensiero marxista è tramontato, la vulgata no. Purtroppo.

(Tratto da Il Dubbio)