Quell’ “invincibile legittimità popolare” dei commissari europei

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Quell’ “invincibile legittimità popolare” dei commissari europei

Quell’ “invincibile legittimità popolare” dei commissari europei

25 Maggio 2018

Quell’invincibile legittimità popolare dei commissari europei. Non direi che non siamo eletti”. Così dice Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione europea e commissario per il dialogo sociale, a Federico Fubini sul Corriere della Sera del 24 maggio. Un simpatico politico lettone (di uno Stato che ha un po’ meno di abitanti della provincia di Milano) rivendica la sua forte legittimità popolare perché indicato dal suo governo, sistemato da un accordo tra i governi dell’Unione e poi ratificato da quell’istituzione comunemente considerata a bassa legittimità politica per l’alto grado di astensione dei suoi elettori che utilizzano di fatto il “voto” per il parlamento di Strasburgo essenzialmente come espressione, più libera da conseguenze, di consenso e dissenso sulle politiche nazionali. Nessuno disconosce la legittimità formale e anche una qualche (specie prima di Jean-Claude Juncker) utilità politica dei commissari europei, ma la fonte del loro potere poggia essenzialmente sui patti tra gli stati dominanti (Francia e Germania) che gestiscono questa loro funzione senza acume strategico. Ad esempio se qualche anno fa invece del particolarmente dannoso Juncker si fosse eletto presidente della Commissione europeo Tony Blair poi non ci sarebbe stata la Brexit. Così se la Grande bottegaia berlinese non avesse indicato presidente del Consiglio europeo, l’organo che dovrebbe rappresentare “i governi” europei, il plurisconfitto Doinald Tusk, la Polonia avrebbe oggi posizioni meno arroccate. La lunga storia di prepotenza burocratica brusselese e arroganza egemonistica franco-tedesca mi pare arrivata a uno snodo assai complesso, e se l’asse baltico (coordinato di fatto dall’area anseatica tedesca di cui fa parte il neoministro economico tedesco Olaf Scholz già sindaco di Amburgo in contrasto con l’area mitteleuropea bavarese di Horst Seehofer) di cui è espressione Dombrovskis, in questo frangente fosse più compos suo e non raccontasse barzellette sulla “legittimità popolare” – anche se comprendiamo che devono tenere a bada un pasticcione come Emmanuel Macron – sarebbe tanto di guadagnato per tutti.

Non so se Folli ci prende in giro o si è momentaneamente distratto sulle pressioni arroganti dell’asse carolingio sull’Italia. Se Conte è il difensore chi sono gli accusatori?”. Così scrive Stefano Folli sulla Repubblica del 25 maggio. Come continuo a ripetere, considero l’ex direttore corrierista un acuto osservatore delle cose italiane e internazionali, e non mi pare un tipo che possa chiedersi, come fa Mario Calabresi sempre nello stesso numero della Repubblica, come mai “la maggioranza degli italiani oggi si vive vittima dell’Europa” . Sono convinto che la frase follesca prima riportata sia figlia di una strategia retorica per indicare i rischi di rottura nell’Unione, non la rimozione del fatto che vi sia in circolazione nel Vecchio continente una folta schiera di “accusatori” dell’Italia rispetto ai quali non sarebbe male che ci fosse un “avvocato difensore” che ci difendesse. Comunque per spiegare  che cosa ho personalmente colto della discussione in corso, riporto alcune frasi di articoli usciti su un quotidiano che Folli ben conosce: La Repubblica.

Il 23 maggio Goffredo de Marchis scrive: “Bruxelles ha messo il nuovo esecutivo nel mirino”,il 21 maggio Stefano Montefiori riporta questa frase del ministro dell’Economia Bruno Le Maire: “Tutti in Italia devono comprendere che l’avvenire dell’Italia è in Europa”. “Se Salvini e Di Maio dovessero schierarsi con ‘il nemico’ sposando politiche sovraniste, perderebbero l’appoggio di Bruxelles e Berlino” scrive Alberto D’Argenio il 24 maggio.“I commenti più gentili parlano di un’Italia «dell’esperimento rischioso», delle «illusioni» e della «mancanza di responsabilità». I meno gentili chiedono di cominciare a creare un cordone sanitario intorno al nostro Paese. Lo ha fatto, con un tweet, uno dei consiglieri economici del governo, Lars Feld” scrive. Tonia Mastrobuoni ancora il 24 maggio. “Non deve trarre in inganno l’apparente flemma con cui la Commissione ha giudicato ieri i conti pubblici italiani” scrive Andrea Bonanni sempre  il 24 maggio. Il 25 Claudio Tito scrive: “Non è affatto remota l’ipotesi che i Paesi componenti l’Ue rifiutino anche solo di prendere in considerazione le richieste fuori dal tempo di M5S e Lega. È anzi una previsione più che realistica che per questo sostanzia il nucleo più profondo dello scontro in corso sulla ‘squadra’ del professor Conte”. Sempre il 25 Roberto Petrini scrive: “L’ambasciatrice tedesca, per capire come stanno le cose in Italia, avrebbe convocato per la prossima settimana una serie di economisti” (letta questa notiiza forse a qualcuno verrà da auspicare che potessimo avere anche noi uno special counsel tipo Robert Mueller che limitasse le interferenze straniere sulla nostra sovranità).

Ecco un piccolo e frettoloso florilegio delle accuse rivolte all’Italia (quelle che rendono auspicabile un patriottico avvocato difensore degli italiani)  raccolte con tanta compiacenza dai giornalisti della Repubblica (non manca anche un intervento alla “zio Tom” sempre il 25 di Alberto D’Argerio: “Nonostante la Commissione europea stia trattando l’Italia con la massima flessibilità”). Va peraltro segnalato come vi sia anche un Vincenzo Nigro in parziale controtendenza, che il 24 maggio, un po’ se la prende con una delle fonti della “accusa”, cioè il presidente francese Emmanuel Macron che “ha convocato una conferenza internazionale in stile Nazioni Unite sulla Libia, a Parigi, per il 29 maggio. Il tutto mentre l’Italia è nel bel mezzo del passaggio da un governo all’altro, ma soprattutto mentre la Libia non è assolutamente ancora pronta per quello che prova a chiedere Macron, ovvero una accelerazione politica verso le elezioni a Tripoli”.

Mamma mia! La Confindustria mette in campo tutta la sua credibilità, quella ampiamente dimostrata specialmente da Boccia, nella gestione del Sole 24 ore. A chi si appresta a governare lanceremo messaggi chiari”. Così il  Tgcom del 22 maggio riporta alcune dichiarazioni di Vincenzo Boccia presidente di Confindustria pronunciate sull’onda di quelle di Carlo Calenda riportate anche da Veronica Sansonetti su Formiche del 21 maggio: “E’ giunta l’ora di pensare in modo netto e forte”. Che Boccia sia un campione di chiarezza è difficile crederlo: ha iniziato nel post elezioni 4 marzo, aprendo subito ai grillini e sperando in un governo Di Maio con appoggio del Pd e si è turbato solo quando invece è nata una maggioranza grillo-leghista, terrorizzato che si definisse una sia pur assai rozza “autonomia” della politica rispetto al pantano tradizionale. La sua tattica è figlia di un grumo di confindustriali  (finite le grandi personalità tipo i Lucchini, i Merloni  o quelle combattive come Antonio D’Amato, e anche un po’ Emma Marcegaglia e Giorgio Squinzi) che giorno dopo giorno perdono peso tra i veri industriali (i tanti piccolo-medi e i pochi grandi rimasti italiani e privati) e il cui capolavoro fattuale è la gestione del Sole 24 ore largamente determinata, a vari titoli, negli anni da Boccia e dal suo grande lord protettore Luigi Abete, e che neanche un magnifico giornalista come Guido Gentili pare sia riuscito a raddrizzare. E’ inevitabile che questo lobbismo non di industriali ma di residui del ceto confindustrialista, trovi un primario interlocutore in un Calenda, non per nulla già braccio destro di quel Luca Cordero di Montezemolo (un altro boccesco presidente di viale dell’Astronomia) che lanciò nel 2007 (insieme al Corriere della Sera) la battaglia contro “la casta politica” , battaglia poi diventata la piattaforma ideologica del grillismo. Dietro l’idea di costoro che, per esempio, la sinistra debba essenzialmente esprimere gli interessi degli industriali, c’è una visione che considera politica, democrazia, ceti popolari e così via, ferri vecchi da sostituire con un amministrativismo assoluto delle decisioni pubbliche su cui influiscano essenzialmente solo le élite che nel caso italiano, poi, tendono a esprimersi come lobby logorate e dequalificate.

Il mirabile lavoro degli snasapatte dell’Espresso sul presidente del Consiglio incaricato. Circa 17 mila euro di Iva non pagata e omesse ritenute, 18 mila euro di mancati versamenti Irpef-Irap e Iva, oltre 6 mila euro dovuti e non versati alla Cassa nazionale di previdenza forense, più qualche multa stradale e sanzioni accessorie”. Accanto al duro lavoro d’indagine sul fatto che Giuseppe Conte si sia recato a consultare le biblioteche di Cambridge e delle università newyorkesi per soli tre giorni invece che in periodi più lunghi come si sarebbe potuto desumere da un curriculum che il professore aveva presentato qualche anno fa, Emiliano Fittipaldi e Nello Trocchia  ci spiegano su L’Espresso del 23 maggio che pare che Conte abbia anche perso una cartolina fiscale nel 2006 pagando (caramente) alcune tasse qualche anno dopo il dovuto. E  pare, quasi sicuramente, che abbia tardato a pagare anche alcune multe. Il lavoro investigativo giornalistico (anche se l’accanimento anti Conte appare oggettivamente ridicolo persino a un Michele Serra, forse un po’ dimentico del suo passato snasapattista) è un bene prezioso per una democrazia matura. Può essere anche fazioso come nel caso del gruppo Repubblica. Ed è sicuramente istruttivo che mezzi snasapattisti alla Marco Travaglio siano usati contro “protetti” dalla star del Fatto quotidiano. Però ha senso questo spulciare i difetti di chi si impegna nella cosa pubblica solo se è consentito a 360 gradi. Se invece il sistema di collusioni del devastato piccolo establishment  italiano che condiziona così profondamente i nostri media, protegge i sistemi di influenza per esempio di un personaggio come Romano Prodi (esponente emblematico della tendenza compradora della nostra borghesia), ne deriva che poi le tentazioni alla polacca o all’ungherese di riequilibrare rozzamente e con qualche pericolo per la democrazia, l’unilateralità del sistema dei media, diventano irresistibili.

 

Un arrivederci a chi segue queste mie note

Cari amici, da vecchietto e pensionato quale sono passo l’estate in un’isoletta del Dodecaneso settentrionale dove non sono in grado di confezionare la rubrichina sull’Occidentale a cui mi sono dedicato in questi mesi. Per quanto voglia bene a Eugenia Roccella e Gaetano Quagliariello e stimi Carlo Mascio e Angela Napoletano i magnifici redattori che curano i miei scrittarelli, questa mia scelta è inevitabile. Se i miei amici e i bravi redattori di questo sito vorranno ancora che io scriva, tornerò a farlo dall’1 ottobre. Ancora grazie della vostra pazienza nel leggere i miei disordinati pensieri.

Lodovico Festa

Grazie di vero cuore a Lodovico Festa per il suo impegno, la sua costanza e competenza nel darci chiavi di lettura sempre interessanti e lucide al fine di orientarci e interpretare criticamente (e perché no anche con un po’ di humor) la realtà politica (e non solo) che ci circonda. La rubrica “Giorno di Festa” ci mancherà sicuramente in questi mesi!

La Redazione de L’Occidentale