Cosa non ha funzionato nella privatizzazione della rete Autostradale

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Cosa non ha funzionato nella privatizzazione della rete Autostradale

29 Agosto 2018

Privatizzare o nazionalizzare? Dal crollo del Ponte Morandi a Genova il dibattito politico è stato letteralmente monopolizzato da questo quesito, “antico e sempre nuovo”, verrebbe da dire, valido quasi per tutte le stagioni. Tuttavia, è importante chiedersi se davvero pensiamo che il problema della sicurezza si risolva riportando le autostrade nelle mani dello Stato? E sulla base di quali principi lo Stato dovrebbe assicurare una gestione migliore?

Il film lo abbiamo già visto: lo stato nominerebbe i manager per vicinanza politica senza badare alla competenza, allocherebbe gli investimenti sulla base dei tornaconti politici locali, accederebbe con più fatica al mercato dei capitali e probabilmente dovrebbe metter in conto un costo del denaro più alto. Senza considerare che sarebbe enormemente più lento nei processi di execution.

Invece di perdere tempo fantasticando di uno stato gestore, credo sia molto più costruttivo discutere di come debbano essere fatte le privatizzazioni perché funzionino, analizzando a fondo il caso Autostrade per correggere gli errori del passato e impostare dei criteri guida per il futuro. E quindi importante chiedersi: cosa non ha funzionato nella privatizzazione della rete Autostradale?

Prima di tutto, non vi è stata una vera liberalizzazione del settore, ma si è trasferito un monopolio pubblico in mani private. Atlantia e Gavio operano in un regime duopolistico, all’interno del quale domina Atlantia che controlla circa il 50% della rete a pedaggio. Per creare valore non è sufficiente che lo stato faccia outsourcing di interi settori, ma li deve liberalizzare. La liberalizzazione porta concorrenza e la concorrenza porta sviluppo, qualità ed efficienza.

In secondo luogo, non si sono spacchettate le attività. La manutenzione autostradale per esempio, almeno per la maggior parte, è stata affidata a società controllate dal gruppo Atlantia, come nel caso della Pavimental. Affinché una liberalizzazione produca efficienza ciascuna attività va messa a gara ed attribuita al soggetto che offre il miglior mix tra competenza ed economicità. In questo modo la manutenzione, la gestione e l’ispezione verrebbero gestite da 3 soggetti indipendenti che rispondono a diverse logiche di controllo massimizzando la qualità del servizio. Dal canto loro, le Authorities competenti devono assicurare che le gare abbiano criteri chiari e certi e debbono garantire la massima apertura affinché risultino appetibili per il maggior numero di soggetti.

Un ulteriore errore è stato la mancata creazione di un meccanismo di controllo. Se l’Authority non ha gli strumenti legislativi per intervenire nel merito della gestione è un organismo vuoto ed inutile. Qualche membro dell’Authority potrebbe, per esempio, sedere nel cda delle aziende operatrici, ciò assicurerebbe trasparenza e un filo diretto tra Stato e concessionario. In più costringerebbe lo stato a dotare l’Authority stessa di figure con competenze tecniche specifiche, in grado di entrare nel merito delle decisioni e di indirizzarle nelle sedi decisionali opportune. 

In più, non è stato rispettato fino in fondo il principio dell’accountability. Specialmente in settori rilevanti per la sicurezza pubblica devono essere chiare le responsabilità del management. Lo Stato deve imporre che le aziende vincitrici delle gare si dotino di standard e sedi decisionali deputate a vagliare le decisioni importanti. La trasparenza delle procedure aziendali, la chiarezza delle deleghe e gli standard operativi sono gli strumenti per generare l’accountability. E con essa si genera maggior prudenza e ponderazione nelle scelte di gestione. Poi si dovrebbe dotare l’Authority di strumenti ad hoc per vigilare su tali decisioni.

In ultimo, sono stati concessi rendimenti sulla base di “previsioni di investimenti” e non su piani di sviluppo esecutivi con risorse già stanziate (come già avviene per esempio per rifiuti ed acqua). In questo modo, è mancato il chiaro legame tra i rendimenti e gli investimenti che ha reso più opaca e meno controllabile la gestione. 

Questi errori ci insegnano molto, ed è compito della politica creare un dibattito serio con l’obiettivo di riformare le regole delle privatizzazioni, orientare la creazione di Authorities efficaci e di strumenti legislativi che trasformino gli inefficienti monopoli di stato in settori liberalizzati che offrono prodotti e servizi di alta qualità.