Piano Colao: Mysterium iniquitatis
10 Giugno 2020
Il Piano Colao diramato dall’autore e dalla sua task force dapprima alle televisioni a reti unificate (che hanno premiato la task force medesima con inquadrature da statisti e da starlette fresche di messa in piega e di botulino in pieno delirio da apparizioni televisive) poi al governo ed alla politica che ne erano stati gli originari committenti ha dato luogo a più interrogativi che risposte.
Colao non è un manager qualsiasi un carneade come Giuseppi arrivato immeritatamente e per fatali congiunzioni astrali al vertice del potere governativo. E’ un manager dal curriculum strutturato verificabile in tema di qualità, di risultati e di obiettivi.
Nulla delle sue qualità si trova trasfusa nel documento che prende il suo nome da cui ci si sarebbe aspettati soluzioni manageriali immediatamente operative, da inserire nella drammaticità della situazione economico industriale italiana senza indugio, con scadenze e cronoprogramma martellanti e necessitati.
Ed invece di soluzioni strutturate ci si trova di fronte ad un documento programmatico in cui l’elemento fondante non è l’operatività e l’economia secolare bensì la “fede” nel senso di San Paolo e cioè della “sostanza di cose sperate”.
Allora è tutto chiaro.
Quello di Colao non è un documento economico ma un’enciclica: il giusto documento che dà la cifra governativa di un’economia di ispirazione francescana (nel senso di Papa Francesco) sostanzialmente pauperista di generica fratellanza universale permeata di un’economia ingenua e senza basi finanziarie.
Sembrano le parole di Quinzio: “Provo l’umiliazione di non poter dire nulla con chiarezza. Ma in me non è chiaro niente, sebbene fossi partito dall’esigenza di cose chiare e semplici. Tutto si è invece, come nella storia della salvezza, così in me complicato, mediato, trasposto, contraddetto, reso assurdo.”
Leggere Colao (e Giuseppi) attraverso Quinzio fornisce un’esegesi, una chiave di lettura.
Ma per comprendere a fondo il piano Colao dobbiamo esaminare ulteriormente il pensiero di Quinzio in “Mysterium iniquitatis”. Secondo la profezia di Malachia, l’ultimo pontefice si chiamerà Pietro II, pochi anni ci dividono da lui ed il suo papato porrà il sigillo alla storia della Chiesa. Vecchio e deluso, angosciato dal mancato adempimento dell’annuncio di salvezza tramandato lungo i millenni ed al presentimento della fine Pietro II scrive due encicliche.
La prima – resurrectio mortuorum – riafferma la lettera la promessa più ardita e irrinunciabile della fede: la resurrezione dei morti. La seconda espone ed interpreta quel mysterium iniquitatis di cui Paolo ha scritto profetizzando la grande apostasia finale sulla quale la chiesa, nel suo insegnamento, ha sempre taciuto.
Non a caso, secondo l’esegesi del suo ultimo Papa, infatti è innanzitutto nella Chiesa – baluardo contro il male – che il male stesso si annida. E così la seconda enciclica di Pietro II si conclude con parole che sanciscono solennemente “il dogma del fallimento del cristianesimo nella storia del mondo”.
Che mente raffinata Colao.
Mentre noi tutti siamo lì ad ironizzare su quello che appare lo svogliato compitino di un modesto studente di economia Lui a ben guardare ci mostra che cos’è attualmente il governo nella sua incompetenza e nel suo fallimento: anzi che il male e cioè l’incompetenza, l’inazione, i ritardi, la tragedia economica che si muta e trasmuta nella tragedia sanitaria è nel governo stesso.
Altro che compitino: quello di Colao è un manifesto di grande forza rivoluzionaria indirizzato a far capire, a chi sa interpretare, che l’attuale apparato di potere governativo e delle forze transnazionali politiche e religiose che lo appoggiano sta fallendo e sta trascinando nel suo fallimento l’intera nazione.
Non è un caso che i punti di operatività del programma (che escono dalla vaghezza ) finiscono sostanzialmente con il coincidere con tutte le proposte dell’opposizione da quella più moderata di Forza Italia a quella più strutturata della Lega passando per la posizione intermedia di Fratelli d’Italia: dal “reshoring – e cioè il ritorno in patria di intere filiere produttive” all’emersione del nero ed all’abbattimento della burocrazia parassitaria.
Con il che risulta “per tabulas” consacrato il fallimento storico di questa esperienza governativa.