Ma questa Via della Seta è così pericolosa?
07 Maggio 2019
I recenti accordi tra Italia e Cina hanno sancito il successo della strategia di penetrazione del colosso asiatico all’interno del blocco occidentale, solo pochi anni fa considerato un fortino inespugnabile. Nel corso della di visita di Xi Jinping dello scorso marzo, il governo ha avuto l’opportunità di siglare significative intese nei più svariati campi – dal commercio elettronico al settore alimentare, passando per l’industria aerospaziale – entrando a pieno titolo nel novero dei partner strategici di Pechino. Il presidente cinese è stato accolto in pompa magna e gli esponenti – pentastellati – del nostro esecutivo non hanno perso l’occasione per rimarcare quanto questi accordi siano un’ irrinunciabile opportunità di crescita per l’asfittica economia nostrana.
Un progetto, questa Nuova Via della Seta, che vede il nostro Paese come estremo approdo occidentale di una lunga catena che attraversa l’Asia centrale e l’Europa dell’Est, proponendosi come veicolo di benessere e sviluppo per tutte le popolazioni coinvolte. La strategia del Dragone si sta sviluppando lungo varie direttrici: oltre alla consolidata collaborazione con la Russia, la Cina ha stretto forti legami con il Pakistan – suscitando la preoccupazione dell’ingombrante vicino indiano – e si è fatta promotrice negli ultimi anni di un forte interventismo in Africa Orientale, che ha portato anche alla costruzione di una base militare a Gibuti, minuscolo stato che si trova però in una posizione privilegiata nel Corno d’Africa, giusto di fronte alle coste della penisola Arabica. Non è passata inosservata l’assenza durante gli incontri del Ministro dell’Interno Salvini, egli infatti ha preferito recarsi in Basilicata per fare campagna per le elezioni amministrative che si sarebbero tenute di lì a poco.
Non è un mistero infatti che la Lega sia notoriamente su posizioni vicine agli Stati Uniti di Trump, e difatti non sono mancate le solite punzecchiature a distanza tra i due alleati di governo, con il leader del Carroccio che si è subito affrettato a ricordare come la Cina non sia certo campione nel garantire la libera concorrenza e la trasparenza dell’informazione. Ad ogni modo, non è certo un segreto che già da tempo stiano arrivando sul nostro Paese grandi pressioni da parte di Washington, estremamente contrariata dalla chiusura dell’accordo in questione.
Gli Stati Uniti hanno apertamente parlato di situazione che danneggia la reputazione del Belpaese agli occhi del mondo, e che tutte le iniziative portate avanti dalla Cina sono volte esclusivamente a perseguire il proprio interesse nazionale. Inoltre – sostengono sempre da Washington – essendo l’Italia una grande una grande economia globale, si sarebbe dovuto procedere a stringere dei semplici accordi commerciali con il Paese asiatico anziché contribuire fattivamente alla riuscita della strategia cinese, mettendo a disposizione le proprie infrastrutture. Le preoccupazioni maggiori che filtrano da oltreoceano però, sono quelle legate alla sicurezza nazionale: il rischio che la rete 5G di Paesi alleati come l’Italia (o la Germania) sia interamente, o quasi, sviluppata con le tecnologie implementate dal colosso Huawei non fa dormire sonni tranquilli ai servizi a stelle e strisce.
Alle problematiche inerenti alla possibilità di accesso da parte della Cina ai dati sensibili di milioni di cittadini occidentali, si aggiungono quelle del rischio di dispersione di informazioni militari o di intelligence a causa di una rete vulnerabile alle incursioni del governo di Pechino. Per gli americani quest’ultima eventualità sarebbe una vera e propria sciagura, vista oltretutto la presenza di innumerevoli basi militari sul suolo italiano. In questo momento, il nostro Paese appare collocato esattamente in mezzo al guado, essendosi avvicinato in maniera netta alla superpotenza asiatica, e rischia di perdere l’unica sponda valida – gli Stati Uniti – assieme alla quale poteva sperare di scardinare il duopolio franco-tedesco in Europa. Infatti, con un’America più distante, il rischio è quello di ritrovarsi isolati e, di conseguenza, compromettere il perseguimento degli obiettivi strategici in seno all’UE e, soprattutto, nel bacino del Mediterraneo.