
Il vittimismo non è la via verso il progresso

17 Luglio 2020
Questa settimana ho letto un libro meraviglioso. The Choice, la scelta di vivere, la scelta di essere liberi e forti, il percorso di Edith Eger, novantaduenne sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.
Mi ha fatto riflettere un passaggio in cui l’autrice, oggi psicologa ad El Paso Texas, distingue tra i concetti di vittima e di vittimizzazione.
In effetti, essere vittima è parte della vita. Si è vittime di guerra, di malattie, di regimi e delle ideologie. Ma si è anche vittime nel quotidiano: del bullismo, dell’educazione, dell’amore. Essere vittima è inevitabile.
La vittimizzazione invece è un’altra cosa. E’ una condizione autoinflitta in cui la vittima sceglie di attribuire ad altri la responsabilità della propria infelicità. In questo modo la vittima rinnega sé stessa, rinuncia alla consapevolezza, alla chiarezza e in definitiva alla libertà interiore. Eger dice: la scelta di essere liberi rispetto agli abusi subiti, al passato, ai nostri stessi errori è solo nostra.
Essere liberi non è un diritto donato è un percorso di responsabilità individuale.
Essere vittime è inevitabile, ma ciò che sta accadendo nel dibattito pubblico e nelle istituzioni è una caduta libera verso il vittimismo. Ecco che quando crollano i ponti la colpa è degli azionisti di una holding, e non nella debolezza degli appalti statali e dei meccanismi di controllo, se l’Italia non cresce è colpa dell’Europa e non della nostra mentalità corporativista e provinciale, se le cose non vengono mai cambiate è colpa della politica e non di noi cittadini che spesso anteponiamo il nostro vantaggio personale al bene comune.