Lettera aperta al dottor Guido Bertolaso. Quando la Patria chiama

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Lettera aperta al dottor Guido Bertolaso. Quando la Patria chiama

Lettera aperta al dottor Guido Bertolaso. Quando la Patria chiama

16 Marzo 2020

Carissimo dottor Bertolaso (mi scusi per la formalità ma non conoscendola personalmente non ho la necessaria confidenza per chiamarla per nome) il suo rientro in Italia per coordinare l’emergenza sanitaria da coronavirus nella regione Lombardia (e personalmente spero non solo quella) è una delle poche notizie che riaccendono la speranza.

Speranza sia di felice esito sia sul fronte sanitario sia, per la riversibilità degli effetti, sul fronte economico.

La sua operatività, intesa nel senso più nobile del “dictator” romano, sotto il profilo della capacità organizzativa effettiva sul campo e di ottimizzazione delle strutture sanitarie territoriali e del loro coordinamento non ha bisogno di presentazione (troppo lungo sarebbe l’elenco dei luoghi e degli eventi che la hanno vista operare con successo).

Il suo operato, del costo simbolico di Euro 1, potrà avere un ulteriore effetto positivo. E cioè il ritorno in campo della competenza. La gestione del contagio da coronavirus nella sua drammatica ambivalenza sanitario – economica avrebbe richiesto da parte delle istituzioni governative un’assunzione di responsabilità sotto il profilo delle capacità di risposta.

I calcoli politici, la caduta del consenso elettorale, il terrore di molti parlamentari di perdere sicuramente stipendio e status, la mancanza di preparazione specifica di molti componenti politici, l’inesperienza del Premier (dileggiato in Europa per il suo traballante curriculum e definito in pubblica udienza quale “pupazzo”) hanno contribuito a rendere più drammatica una crisi già drammatica.

Con un governo normale lei avrebbe dovuto essere chiamato immediatamente a gestire la complessa strategia sanitaria da contenimento del virus avendone capacità ed esperienza.

Non a caso ho fatto riferimento al “dictator” romano non certo per esaltarne la dittatorialità politico – militare (concetti risibili riferiti alla sua persona) quanto per indicare che anche una struttura ferocemente attaccata alle proprie prerogative di rango e di status come il senato romano nei momenti di pericolo sapeva, momentaneamente, farsi da parte ai fini della sopravvivenza dello Stato a mezzo del conferimento del potere alla persona ritenuta più capace. “Salus rei publicae suprema lex”.

La genetica di potere italiana in cui l’ontogenesi ricapitola la filogenesi non ci ha permesso di poter replicare tale importante insegnamento. Il prevalere del calcolo politico, della ferocia dei mediocri arrivati a posizioni di potere e di stipendio inchiavardati ed infeudati sugli scranni conquistati, l’invidia distruttiva nei confronti delle persone più capaci ha fatto sì che un premier ed una compagine governativa con a capo un avvocato sconosciuto ai più e professore di cui non si conosce produzione giuridica di significato e compagine governativa di varia estrazione con un corpaccione pletorico di parlamentari fautori delle più stravaganti teorie (dal terrapiattismo alla inutilità dei vaccini) è quello con cui lei si dovrà confrontare.

Il suo nemico più temibile non sarà il virus. Sarà la mediocrità di una compagine governativa e delle sue truppe ascare dalla burocrazia all’informazione che vedranno in ogni sua attività un confronto impietoso con la propria incapacità e la propria mediocrità.

E la odieranno. Ferocemente. Con l’ipocrisia di chi, a beneficio delle televisioni, la accoglierà con uno smagliante finto sorriso. La ostacoleranno con una burocrazia assillante nella speranza che lei possa dimenticare, nella drammatica lotta contro il virus, un foglio da fureria, un ordine di casermaggio, un cavillo da regolamento borbonico per poterla mettere in croce.

Ma lei queste cose le conosce già. E probabilmente le ha già messe nel conto. Ma vede dottor Bertolaso è con lei, e lo credo fermamente, l’intero popolo italiano. Che con lei ritrova la speranza di potercela fare.

Più volte ho parlato di speranza ricordando a me stesso che sulla porta dell’inferno dantesco la pena più grande per i dannati non era il fuoco, non era il ghiaccio, non erano le angherie dei demoni ma la perdita della speranza.

Habent sua fata verba. In bocca al lupo.