Sulla biopolitica bisogna prendere una posizione e fare scelte concrete
18 Gennaio 2008
Angelo Panebianco, nell’editoriale del 12 gennaio sul Corriere della Sera, ha giudicato superata l’impostazione che del Pd vorrebbe fare un partito in cui finalmente confluiscano “gli eredi della tradizione comunista e gli ultimi adepti del cattolicesimo democratico (l’ex sinistra democristiana e dintorni)”.
Ma già un altro opinionista del Corriere, Ernesto Galli della Loggia, aveva parlato tempo fa di “morte del cattocomunismo”, sulla base di analisi molto simili: l’emergere della biopolitica, o, se si preferisce, dei “valori non negoziabili”, come tema di confronto politico e teorico, che ha scompaginato le tradizionali aggregazioni politiche e le categorie interpretative a cui siamo abituati. Il terreno del sociale, luogo d’incontro d’elezione tra comunismo italiano e cattolicesimo democratico, non basta più.
Oggi all’orizzonte c’è quella che il cardinale Ruini ha definito “la questione antropologica”, qualcosa che è riduttivo circoscrivere nell’ambito del dibattito etico o dello scontro laici-cattolici. Quello che è in gioco è molto di più: la concezione dell’umano, i fondamenti stessi della cultura e natura umana. I quesiti a cui ormai un partito deve essere pronto a rispondere sono davvero impegnativi, e riguardano la vita e la morte: come la definizione di persona, l’identità genetica, la genitorialità e i rapporti di parentela, le manipolazioni per “migliorare” o cambiare l’uomo, i limiti alla ricerca scientifica. Non è possibile affidare ogni volta la soluzione delle questioni che scottano e dividono alla pura e semplice mediazione: è necessaria un pensiero originale, che non affronti di volta in volta il singolo problema al lume del buon senso e dell’equilibrio tra filosofie diverse.
Leggendo le dichiarazioni di Veltroni sembra che questa riflessione originale, questa consapevolezza degli scenari, ancora non ci sia. Se è così, la mancanza di chiarezza si sconterà ogni volta che si affronterà un tema concreto. Per esempio: la ricerca sulle cellule staminali embrionali –così pare di capire dalle parole di Veltroni- dovrebbe essere consentita, mentre la clonazione umana rappresenta un limite insormontabile. In questo caso la legge 40, che vieta la sperimentazione sugli embrioni, sarebbe da riformare, e l’embrione, evidentemente, non è considerato persona. Operando questa distinzione in genere si restringe la definizione di persona fino a coprire solo chi è dotato di un sufficiente grado di consapevolezza. Se è persona solo chi è cosciente, o in grado di autodeterminarsi, si può naturalmente staccare la spina a chi è in stato vegetativo, e poi si può arrivare ad accogliere la proposta (già avanzata a livello internazionale per gli xenotrapianti) di sperimentare, sempre sui malati in coma, alcune terapie rischiose. Possiamo fare un’operazione analoga per quanto riguarda la famiglia. Se per famiglia non si intende il nucleo affettivo basato sulla procreazione naturale e istituzionalizzato dal matrimonio, il fondamento della convivenza familiare diventa puramente convenzionale, e quindi modificabile a piacere, e la procreazione (naturale o assistita, in tutte le forme tecnicamente oggi possibili) diventa il diritto del singolo. Sappiamo che in alcuni stati si riconoscono già due madri o due padri (ma le madri possono anche essere tre). Perché no, se la famiglia non è che l’ufficializzazione di qualunque forma di legame amoroso, e il figlio si può fare in mille modi?
In Italia queste possibilità appaiono lontane, ma sono già realtà in altri paesi, e prima o poi ci investiranno con urgenza. E se il Pd non avrà ben chiaro l’orizzonte politico e culturale in cui collocare le proprie scelte, l’atteggiamento inclusivo, la mediazione, la ragionevole ricerca di un compromesso, saranno insufficienti a garantire l’unità.