L’anno che sta arrivando tra un anno passerà e io mi sto preparando…

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

L’anno che sta arrivando tra un anno passerà e io mi sto preparando…

27 Dicembre 2020

E’ stato un anno orribile, e lo chiudiamo aggirandoci fra le macerie. Sono morti più di 70mila nostri connazionali, molti dei quali senza conforto, altri senza neppure pietà. Il senso del limite che la pandemia avrebbe dovuto suggerire all’homo sapiens del XXI secolo non sembra aver suscitato un ritorno alla resipiscenza. Oggi siamo forse meno presuntuosi ma più cinici di ieri. La condizione del Paese si è indebolita. Abbiamo contratto nuovo debito che ora ammonta al 160 per cento del Pil. La nostra sovranità è, per questo, ancor più condizionata. Chiuderci i rubinetti è diventato un gioco da ragazzi. Dovremmo perciò essere umili e determinati. Come lo fu De Gasperi di fronte all’assemblea delle Nazioni Unite dopo la resa incondizionata. Appariamo, invece, astratti e velleitari. La crisi ha creato nuove povertà e nuove iniquità. Le fratture interne si sono acuite: quella tra nord e sud; quella generazionale; quella tra il pubblico e il privato; quella tra i garantiti e gli autonomi. Le istituzioni hanno retto a stento e il loro stato di salute è, se possibile, ulteriormente peggiorato. I Dpcm utilizzati per gestire la crisi hanno stravolto qualsiasi gerarchia delle fonti del diritto e annientato il ruolo effettivo del Parlamento. Il rapporto tra Stato e Regioni ha perso ogni logica costituzionale e procede per approssimazioni successive dettate dalle necessità contingenti. Le relazioni tra politici e tecnici troppo spesso hanno contraddetto il primato della sovranità popolare.

E’ possibile imputare tutto questo al governo in carica? Senza alcuna compiacenza verso questo esecutivo, non sarebbe equo. Non solo perché molte delle difficoltà sopraelencate le condividiamo con la maggior parte dei Paesi dell’emisfero occidentale. Soprattutto, perché la squadra che ci governa era stata selezionata per partecipare a un campionato di serie minore e improvvisamente si è trovata – a sua insaputa, avrebbe detto qualcuno – a giocare la Coppa dei Campioni. All’irrompere dell’emergenza sarebbe stato necessario sostituire tempestivamente la compagine e i moduli di gioco. Ma nessuno l’ha voluto veramente: né (comprensibilmente) chi si trovava in campo, né l’allenatore, né coloro i quali, dall’altra metà campo, avrebbero potuto contribuire a formare una squadra alternativa.

Ci troviamo così alle porte del nuovo anno – quello che dovrebbe sancire la ripresa – sguarniti, quasi disarmati. Si parla di “terza ondata” ma a nessuno sembra che la seconda si sia conclusa e, di questo passo, ci incamminiamo ad ampie falcate verso il terribile traguardo delle 100mila vittime. C’è da organizzare un piano di vaccinazione di massa da far tremare le vene ai polsi e, non solo nell’immaginario, ci si è affidatati a un vertice troppo “esclusivo”: lo stesso che è stato chiamato a gestire le mascherine, i banchi con le rotelle, le ciminiere dell’Ilva… Sul fronte economico neanche a parlarne: ci troveremo di fronte le devastazioni di un dopoguerra senza il vitalismo che caratterizza i periodi di ricostruzione post-bellica. Abbiamo poi accumulato un ritardo tale nella programmazione di impiego dei “soldi che dovrebbero arrivarci dall’Europa” da far temere che quei soldi – sempre che arrivino – saranno spesi male e comunque non determineranno lo choc positivo del quale il nostro Paese avrebbe necessità. L’Italia è Paese fondatore dell’Europa, ma per la prima volta dovrebbe ricevere più soldi di quelli che deve versare: la gran parte in prestito, una quota a fondo perduto. Viene dunque riconosciuta come “la grande malata d’Europa”. Non c’è nulla di cui andar fieri. Ma il danno diverrebbe addirittura insopportabile se quei maledetti soldi, dei quali abbiamo maledettamente bisogno, invece che far ripartire l’economia reale producessero divari ancora maggiori.

In queste condizioni – e nonostante queste condizioni -, è veramente difficile pensare a un cambio di governo in tempi immediati. Una cosa è minacciare la crisi e ispirare gli articoli di fondo degli analisti; farla per davvero è altra storia. Chi ci provasse dovrebbe mettere in conto di vedersi immediatamente imputati i morti giornalieri nell’ordine delle centinaia; la comprensibile incredulità dell’Europa e le crescenti remore nell’erogare soldi per ora stanziati solo sulla carta; presunti ritardi nel piano di vaccinazione di massa e, dunque, l’allontanarsi dell’approdo in un porto quiete. Per reggere tutto ciò non basta una dose straordinaria di bullismo, di cui qualche ex premier è indubitabilmente dotato. Pensare poi, come in altri lidi si spera, che la crisi possa sfociare in elezioni anticipate, è ancor più difficile. Anche al netto della volontà dei parlamentari di restare (visto che il “taglio” rende più complessa per tutti e per ognuno la prospettiva della rielezione), nel momento nel quale ancora non sappiamo neanche se le elezioni previste in Calabria e nelle principali città italiane riusciranno a svolgersi nei tempi ordinari, immaginare che venga avviata una campagna per il rinnovo del Parlamento nazionale appare a dir poco improbabile.

Nondimeno, qualcosa deve succedere. Questo stato di cose non può durare, quantomeno non può durare tal quale. L’Italia non ha un assetto politico stabile. Nessuna delle grandi forze oggi in campo sembra aver raggiunto una propria consapevolezza e, in tutto ciò, abbiamo un presidente del Consiglio che aspira a portare a termine la legislatura e il cui futuro è ancora indeterminato: potrebbe ancora rivelarsi una meteora; potrebbe divenire un protagonista. Se si dovesse scommettere su quale sarà il momento del big bang, nel quale tutti gli elementi precipiteranno e l’orizzonte inizierà a schiarirsi, esso è da individuarsi nella metà del 2021, e il detonatore è l’inizio del semestre bianco. Allora, al riparo da possibili elezioni che alcuni temono come la peste, senza il rischio che tutto possa sfuggire di mano, e alla luce dei risultati di importanti elezioni amministrative, si potranno determinare, allo stesso tempo, governo, presidente della Repubblica, legge elettorale. Si potranno, insomma, gettare le fondamenta della prossima legislatura. Fra le altre cose, sarà importante arrivare a quell’appuntamento potendo contare su una forza liberale e conservatrice matura, dotata di idee, preparazione, classe dirigente e persino di un po’ di forza elettorale; orientata al futuro piuttosto che impegnata a ruspare i residui di un glorioso passato. Di una componente del genere nessuna democrazia matura può fare a meno, tantomeno se il problema è quello di ricostruire sulla base della competenza e di ridare slancio e speranza a quella classe media che il 2020 ha trascinato ai limiti della disperazione. Per uscire dalla crisi, che questa forza si crei non è condizione sufficiente ma è certamente condizione necessaria. Non è compito scontato né di poco conto. Ma per il primo semestre del nuovo anno è questo il nostro obiettivo e questa dev’essere la nostra sfida.