Per l’America progressista libertà religiosa vuol dire mettere a tacere i cristiani
01 Novembre 2016
La tutela della libertà religiosa potrebbe diventare la più importante lotta politica nel post voto presidenziali Usa. Lo ha scritto nei giorni scorsi il Washington Post. A ormai pochi giorni dall’appuntamento dell’8 novembre, si tratta di uno degli argomenti cruciali della campagna elettorale, percepito come un rischio non risibile dagli elettori americani. Anche perché, a quanto pare, una parte dell’America avrebbe già deciso. È pronta a sacrificare la libertà di religione, e quindi la libertà in generale, sull’altare del politicamente corretto.
Quando il First Liberty Institute pubblicò l’ultimo rapporto sullo stato della libertà religiosa, emerse una tale ostilità verso la religione che non si aspettava altro che il momento del colpo fatale. Arrivato, poi, puntuale. L’istituto, fondato nel 1957, con a capo oggi Martin Castro (nomina voluta fortemente da Obama), a inizio settembre ha rilasciato un rapporto di trecentosei pagine intitolato “Coesistenza pacifica: riconciliare i principi della non discriminazione con le libertà civili”. Anzitutto, se un rapporto che intende mettere in atto “un’opera di riconciliazione” ha bisogno di così tante pagine, qualche dubbio sulla sua efficacia reale viene.
Quello che tuttavia alla fine emerge dal documento è che, sostanzialmente, la panacea di tutti i mali starebbe nel togliere alle “persone religiose” (cioè ai cristiani!) il diritto di dissentire attraverso parole, opere e omissioni, nel nome della loro fede, dalle leggi imposte in nome dei pretesi diritti civili. Castro motiva le sue ragioni, e dell’intera commissione, addentrandosi nella storia delle religioni e della loro diffusione. E vede i fedeli tutti rei, non solo dell’incapacità di scindere ciò in cui credono dalle loro azioni, ma anche di essere i seguaci, gli eredi, di quella religione che – così sta scritto – “in passato è stata usata per giustificare la schiavitù“. E adesso tocca persino vedere il cosiddetto tema ‘libertà religiosa’ ritornare di nuovo nel nostro discorso politico e costituzionale nel tentativo di minare i diritti di molti americani”, aggiunge.
Queste conclusioni estreme e sature di laicismo, hanno costretto William McGurn a scrivere un’editoriale sul Wall Street Journal: “il contributo di Castro è così pessimo da essere positivo. Perché conferma che l’argomento progressista consiste ormai nell’insultare gli americani che hanno un’idea diversa”. D’altronde è così. Il valore che sta alla base della cultura liberal è esattamente questo. E una delle prove più evidenti è stata fornita della Clinton stessa che, in campagna elettorale, ha dichiarato che “i codici culturali, i credo religiosi e i pregiudizi strutturali radicati in profondità devono essere cambiati”. Secondo McGurn, con Hillary Clinton seduta nello studio ovale, “tutti coloro che non sono d’accordo” con il pensiero dominante “saranno considerati non idonei” a esprimersi pubblicamente.
Conclude il WSJ, “è triste vedere la Commissione americana sui diritti civili che stralcia il primo diritto civile contenuto nella Carta dei diritti“. C’è poco di cui meravigliarsi, in fondo. La commissione, che fa capo al governo federale, e che ha partorito un simile documento riflette pedissequamente l’Obama–pensiero. Una costanza disarmante negli otto anni di presidenza obamiana è quasi riuscita a ricacciare la libertà religiosa nella sfera privata con vere e proprie aggressioni al “cuore morale della Costituzione”, come le definì Robert George, giurista a Princenton. Tutte nel nome di una pretesa neutralità che il compianto giudice della corte suprema Scalia, appena un mese prima di morire, decretò assurda, frutto di una “distorsione praticata dai giuristi attivi negli anni Settanta” certi che “ogni traccia di ‘religioso’ dovesse essere bandita a favore di uno spazio pubblico del tutto secolare”.
Nella Costituzione americana non c’è scritto niente di tutto ciò, anzi, questo rapporto, e gli episodi di cronaca, dimostrano un disprezzo di quello che è il primo emendamento. Non a caso, “l’originalista” Scalia ci teneva ad aggiungere che sarà pur vero che “non si può favorire una denominazione religiosa piuttosto che un’altra. Ma non sta scritto da nessuna parte che non si possa privilegiare la religione anziché la non-religione”. Piuttosto è evidente il contrario: alcune religioni sono meglio delle altre (o, forse, alcune fanno più paura di altre!): va bene se un musulmano chiede – e ottiene – interruzioni durante l’orario di lavoro per la preghiera, ma va malissimo se un funzionario di stato si rifiuta di celebrare un’unione omosessuale. Ad ogni modo, il rapporto fresco di stampa ha ribadito al mondo intero che le leggi per la protezione della libertà religiosa sono state ufficialmente declassate a strumenti per la discriminazione. E guarda un po’, in cima alla lista dei “perseguitati” ci sono gli omosessuali.
Ma se libertà religiosa è sinonimo di aggressione, allora non si tratta più di combattere il fanatismo o l’estremismo, ma di buttare giù le chiese. Nel nome dell’ideale egalitario che ambisce e impone la neutralità di tutto ciò che è pubblico rispetto alle proprie convinzioni religiose, con “Imagine” sulle labbra, stanno disegnando il destino dei cristiani: il ritorno alle catacombe.