Legge elettorale: il Partito Democratico grida al tradimento ma a “tradire” sono i suoi
08 Giugno 2017
di Carlo Mascio
I segnali di ieri erano già abbastanza chiari: così non si va molto lontano. Ma oggi è arrivata la conferma: il “patto dei 4” sulla legge elettorale è saltato, o meglio “è morto” tanto per usare un espressione del renziano Lorenzo Guerini che, dunque, la dice lunga su quanto sia accaduto questa mattina alla Camera. È bastato, infatti, il voto segreto su un emendamento dove la maggioranza che sosteneva il Fianum è stata battuta per far scoppiare la bagarre a Montecitorio e far saltare l’accordo. Insomma, tutto da rifare.
Ma andiamo con ordine. Tutto è cominciato con la presentazione di un emendamento da parte di Micaela Biancofiore (Fi) che, in sostanza, mirava ad applicare la legge elettorale in esame anche al Trentino Alto Adige senza le norme specifiche che favoriscono la rappresentanza della minoranza di lingua tedesca. Per giunta, introducendo la preferenza di genere, cosa che ai sudtirolen non va certo giù dato che la loro rappresentanza femminile, di fatto, è praticamente esigua. La questione del Trentino, tra l’altro, era stata già discussa in Commissione e l’accordo tra Pd, Fi, Lega e M5S non prevedeva la presentazione di emendamenti in merito durante la discussione in Aula.
Non a caso, il presidente dei deputati di Forza Italia, Renato Brunetta, è subito intervenuto a difesa del patto: “Noi vogliamo la riforma della legge elettorale, vogliamo rispettare il testo così come è uscito dalla Commissione Affari costituzionali”. Ragion per cui: “Riconosciamo le ragioni dell’emendamento Biancofiore, ma se questo, però, fa cadere l’impianto della riforma perché viene meno ai patti, noi voteremo contro”. In ogni caso, era evidente che, venendo presentato da un esponente di Forza Italia, era quasi scontato che qualche voto interno a favore dell’emendamento ci sarebbe stato.
Anche i cinquestelle con Fraccaro hanno annunciato il voto favorevole, valutando l’emendamento come un “atto di giustizia”. Tuttavia, come ha precisato poi Di Battista in Transatlantico, questo non comprometteva minimamente l’accordo sulla legge elettorale: “L’accordo è ancora in piedi” ha dichiarato il pentastellato. Fin qui tutto tranquillo. Anche troppo, soprattutto tra i banchi del Pd, dove nessuno ha sottolineato, come è successo poco dopo, che il voto favorevole dei cinquestelle all’emendamento sul Trentino sarebbe stato decisivo per far saltare il patto.
Fatto sta che l’incidente arriva al momento del voto: con 270 si, 256 no e un astenuto, l’emendamento passa e la maggioranza dei 4 è battuta. Ed qui che il Pd si sveglia e fa scoppiare la bagarre. “Il M5S ha dimostrato che la sua parola non vale nulla!” ha tuonato Ettore Rosato, capogruppo Pd, attaccando violentemente i cinquestelle, rei, a suo dire, di aver organizzato una “trappola per far cadere la legge elettorale”.
E il perché dal Pd si gridi alla “trappola” è molto semplice. Ed è qui che tornano in gioco i sudtirolen. L’emendamento Biancofiore, infatti, contraddice esattamente quanto richiesto dalla Svp, il partito sudtirolese che fa parte della maggioranza e che, soprattutto al Senato, è stato ed è tutt’ora decisivo per la tenuta del governo. Non solo. Con il sistema proporzionale che si profilava fino a stamattina, i voti del Svp, così come quelli degli italiani all’estero, nella prossima legislatura sarebbero stati necessari come il pane per la formazione di una maggioranza di governo. Ecco perché quell’emendamento era tutt’altro che innocuo. A questo punto, però, viene spontaneo chiedersi perché Rosato & Co., quando era ormai chiaro che i cinquestelle e una parte di Forza Italia avrebbero votato l’emendamento, non sono intervenuti per sottolineare quanto fosse “decisivo per la tenuta del patto” il voto favorevole alla questione trentina. Emendamento sottovalutato? Conti fatti male? Il silenzio Pd o è un grave errore politico di Fiano e Rosato (rispettivamente relatore della legge e capogruppo Pd) o resta un mistero.
Ciò che invece doveva rimanere nel mistero era il voto sull’emendamento. Doveva, appunto. Perché la presidenza della Camera aveva sì annunciato il voto segreto ma ad un certo punto sul tabellone di Montecitorio sono apparsi i puntini rossi e verdi che si usano, invece, per il voto palese. Per cui una parte dei franchi tiratori sono stati scoperti. Non tutti, perché in quel momento i voti contrari, numeri alla mano, non erano sufficienti a far passare l’emendamento. Ma quando, pochi istanti dopo, le luci si sono trasformate in azzurre, garantendo ai parlamentari l’anonimato, i voti a favore sono vertiginosamente aumentati, affossando il famoso patto. Ed è qui che le accuse di Rosato a M5S e, in parte, anche a Forza Italia, vengono a cadere, dato che i “traditori” appartengono proprio all’area Dem. Le accuse di Rosato di tradimento sono dunque autoaccuse, e il Pd si rivela ancora una volta un partito di tutti contro tutti, attraversato da lacerazioni che la recente scissione non ha esaurito. Ma la cosa ancor più grave, franchi tiratori a parte, è che il voto che doveva rimanere segreto non è stato tutelato. Cosa che, come dicono gli addetti ai lavori, non è praticamente mai accaduta. Ad aggravare il tutto ci ha pensato la Presidente Boldrini che non ha praticamente battuto ciglio sull’accaduto per cercare di rendere partecipi tutti circa le ragioni dell’errore commesso. Errore tecnico? Comunicazione errata? Questo non è dato a sapersi. Alla faccia della trasparenza!
Insomma, alla fine dei conti, in questa giornata convulsa, una cosa è certa: il “patto dei 4” non esiste più. La legge ritorna in commissione, e mentre Forza Italia ed altri si augurano che il lavoro di tessitura e di condivisione non si interrompa, dalla segreteria Dem arrivano segnali contrari: “A questo punto è quasi certo che andremo a votare con i due consultellum, con lo sbarramemto a 3% alla Camera e all’8% al Senato”, si dice. Ma l’infinita telenovela della legge elettorale continua; e, per ora, anche la legislatura, e il governo Gentiloni.