Le donne non hanno bisogno di quote rosa ma di pari opportunità

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Le donne non hanno bisogno di quote rosa ma di pari opportunità

19 Gennaio 2011

Si fa un gran parlare di pari opportunità. E che le donne in molti settori abbiano dimostrato di valere non meno dei colleghi maschi è ormai un dato di fatto. Ma parlare di pari opportunità rischia di rimanere una contraddizione in termini se non si cambia prospettiva e si trasformano le opportunità in possibilità. Lo vediamo nell’esperienza di tutti i giorni, purtroppo siamo indietro e il percorso delle donne è pieno di difficoltà.

Perché una donna, prima ancora che una lavoratrice, è una moglie, una mamma, una figlia, un’amica. E’ lei il vero ammortizzatore sociale, il cuscinetto che a seconda dell’orario e della necessità, si trasforma e risponde alle esigenze di tutti. Le donne sanno essere straordinariamente forti, generose e capaci di dedicarsi agli altri. E il lavoro? La carriera?

Poco o nulla si è investito su questo fronte e oggi se ne scontano le conseguenze. Il lavoro è diventato la prima emergenza da risolvere per permettere alle donne di dire un doppio, ma anche un triplo o un quadruplo sì. Alla realizzazione professionale, alla famiglia e perché no, al tempo libero.In troppe sono ancora costrette a rinunciare e probabilmente ciò si traduce in un vero e proprio spreco di talenti. Però, qual è l’alternativa se il nido è troppo costoso e ci sono genitori anziani da accudire?

In questo quadro l’Abruzzo è agli ultimi posti nella classifica delle regioni che vedono donne ricoprire posizioni dirigenziali, con un misero 6,6%. E anche nelle sedi istituzionali la situazione non è certo migliore.

Ma più in generale è il dato complessivo sull’occupazione femminile che risulta inaccettabile in una regione che lancia la sfida allo sviluppo e all’innovazione.

Più volte in Consiglio regionale si è aperta la discussione sulla necessità di garantire pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive ma al di là di questo è sulle politiche sociali che è importante agire. Recentemente la Giunta, su proposta dell’assessore alle Politiche sociali Paolo Gatti, ha stanziato un milione di euro a favore degli asili nido. Non basta, lo sappiamo bene, ma comunque è un primo passo.

Bisogna guardare altri modelli, come quello francese in cui alle mamme viene concesso un rimborso anche per la tata. In Francia il welfare cerca di essere amico delle donne, delle famiglie, dei bambini: bonus bebè, lunghi congedi di maternità, assegni familiari. La soluzione c’è, quindi e si chiama conciliazione. Conciliazione tra vita e lavoro.

Ma ha anche un altro nome: collaborazione. Per scardinare abitudini e mentalità e fare in modo che ci sia un supporto se non pari, almeno reciproco all’interno della famiglia. Gli esempi ci sono. In Svezia la legge sul congedo paterno sta funzionando bene. Basterebbe poco, basterebbe essere più flessibili. Una dote che le donne sembrano avere innata.E allora non ci sarebbe più di bisogno di invocare le odiose “quote rosa” che altro non sono che un’ammissione di sconfitta. Sarebbe sufficiente un’equa divisione delle responsabilità. Tra uomini e donne ma non solo. Anche tra azienda e donne e ancora di più tra Stato e donne.

Ognuno deve fare la sua parte, perché fino a questo momento l’hanno fatta solo le donne. E allora ben vengano tutte le proposte che sono state avanzate in quest’ultimo periodo, dalle detrazioni fiscali per le aziende che assumono donne, al congedo di paternità obbligatorio, ad una maggiore flessibilità degli orari di lavoro.

E non si tratta solo di una questione di parità, perché se il sistema cambia a beneficiarne sarà la competitività dell’intero paese. Rimuovere questi vincoli culturali, infatti, significa rimuovere vincoli alla crescita del paese. Secondo i dati, solo il 46% delle donne italiane ha un impiego. Se questa percentuale aumenta è ovvio che anche la ricchezza aumenterà.

Discutiamone, dunque. Perché non è più accettabile che l’ostacolo maggiore all’occupazione femminile sia ancora rappresentato dalla maternità. Senza mezzi termini questa circostanza ha un nome preciso: si chiama discriminazione. Sperimentiamo regole nuove e coraggiose. Risvegliamo la coscienza di questo paese. Ma soprattutto, modernizziamoci.