“Fini si legga bene il Catechismo prima di usarlo contro il biotestamento”
01 Marzo 2011
La presentazione del libro del professor Alberto Zangrillo coincide con un momento cruciale per le questioni etiche sul fine-vita e sul rapporto tra medico e paziente, di cui si è tornati a discutere proprio in queste ultime settimane nelle aule legislative. Si tratta delle medesime questioni che nel libro vengono affrontate con professionalità e sensibilità da chi, da anni, svolge con passione il difficile mestiere dell’anestesista-rianimatore. Temi che richiamano all’attenzione il ruolo cruciale svolto dal medico nel momento in cui la vita umana è più fragile, in bilico tra la vita e la morte.
In quel momento, come sottolinea Zangrillo, lo stato di incoscienza che rende il paziente inerme e incapace di esprimere le sue volontà fa sì che egli non possa che affidarsi alla competenza e alle scelte del medico. D’altra parte, questo rende necessario trovare un equilibrio tra il principio di autodeterminazione della persona e il principio, altrettanto fondamentale, della libertà di curare il paziente in scienza e coscienza, a maggior ragione quando non è possibile interagire direttamente con lui. Le dichiarazioni anticipate di trattamento, così come il ddl Calabrò le ha concepite, non sono altro che un modo per proseguire anche oltre il limite dello stato di incoscienza quell’ "alleanza terapeutica" tra medico e paziente che Benedetto XVI aveva così ben esplicato rivolgendosi nel 2008 ai chirurghi italiani.
Legiferare sul mistero che separa la vita dalla morte è un fatto controverso, che crea turbamento. E la legge sul cosiddetto testamento biologico, che questa settimana approderà in Aula alla Camera, è un provvedimento senza dubbio perfettibile, perché complessa e incerta è la materia che intende regolare. C’è chi ha sostenuto che di fronte a tale incertezza sarebbe stato meglio che il legislatore si fosse astenuto dall’intervenire. Ma questo avrebbe significato lasciare incolmato quello spazio che, in passato, ha fatto sì che ad arrogarsi la facoltà di decidere dell’esistenza umana sia stato un tribunale attraverso una sentenza. Pur nella convinzione che il tema del "fine vita" non possa essere regolato fino in fondo, proprio tale indebita appropriazione della facoltà di decidere della vita umana ci ha spinto a mettere a punto delle norme che restituiscano alla persona e al medico, in alleanza terapeutica, la centralità e la responsabilità che solo a loro appartiene.
Abbiamo cercato di farlo tenendo conto sia del valore delle dichiarazione anticipate di trattamento, sia dell’importanza di lasciare al medico la possibilità di attualizzarle, alla luce delle conoscenze e del progresso scientifico che mettono tali dichiarazioni, frutto di decisioni prese in un contesto e in condizioni psicologiche diverse, al riparo da quell’obbligatorietà che, anziché porsi a tutela del paziente, lo vincolerebbe a una scelta definitiva e irrevocabile. Per noi, per gli autentici liberali, il diritto all’autodeterminazione deve sempre lasciare uno spiraglio alla revisione e persino alla contraddizione. In caso contrario, esso si trasforma nella "presunzione fatale" di poter determinare il proprio destino una volta per tutte, di pianificare la propria esistenza chiudendo la porta ai mutamenti, alle trasformazioni, alle sorprese che la vita sa riservare ogni giorno.
Ma oltre a motivazioni filosofiche, vi sono anche essenziali ragioni pratiche per ritenere che il ddl Calabrò sia una legge di buon senso laddove considera importanti ma non vincolanti le dichiarazioni anticipate di trattamento, e laddove esclude che esse possano riguardare idratazione e alimentazione. La maggior parte dei casi di stato vegetativo, infatti, riguardano giovani e adolescenti vittime di incidenti con il motorino. Molti non sanno che nella stragrande maggioranza dei casi – si parla addirittura del 99 per cento -, in certi casi dopo alcuni mesi di coma, quei ragazzi recuperano del tutto o quasi le loro funzionalità di vita, motorie, relazionali eccetera. Spesso non conservano traccia alcuna del trauma subito. Ebbene, nei giorni drammatici del caso Englaro, sull’onda dell’emotività e di una massiccia dose di disinformazione, molti giovani hanno aderito a una sorta di testamento biologico su Facebook – grazie al cielo privo di alcun valore – e in maggioranza hanno dichiarato di voler rifiutare alimentazione e idratazione in caso di stato vegetativo. Sapete cosa significa questo? Che quel 99 per cento di ragazzi che dopo un incidente di motorino esce dal coma e torna a vivere normalmente sarebbe condannato a morte, perché nei giorni di buio per il trauma riportato morirebbero per fame e sete. E allora io sfido chiunque a venire in Parlamento a convincerci che impedire a una persona di rifiutare ora per allora idratazione e alimentazione sia una norma illiberale e oscurantista, e non una norma di puro buon senso.
Insomma, io credo che il testo approvato in Senato sia un buon compromesso tra l’esigenza di rispettare la volontà del paziente e la necessità, manifestata da Zangrillo, di lasciare il medico libero di poter svolgere la propria professione in coscienza e secondo le conoscenze di cui dispone, facendo in modo che il testamento biologico, anziché porsi come limite alla sua azione, possa consentirgli di dialogare con il paziente anche quando le condizioni di quest’ultimo impediscono un regolare scambio comunicativo. E mi rafforzano in questa convinzione le testimonianze raccolte dal nostro ospite in tanti anni di esercizio responsabile della professione medica, che ci confortano a proposito della capacità della nostra sanità – che nonostante tutto, come dice Zangrillo, è una sanità da "10 e lode" – di sapersi fare carico con sensibilità e competenza di una responsabilità così grande a tutela della vita umana.
Un’ultima notazione, e concludo. Questa legge non è nata dall’oggi al domani. Ha avuto una lunga gestazione, e nel nostro gruppo del PdL, qui in Senato, è stata oggetto di tante discussioni, di dibattiti anche serrati, di pubblicazioni specifiche e di più ampio respiro, di seminari interni e incontri aperti, di confronti con i medici, con i malati e con gli scienziati. Non mi nascondo dietro un dito: nei lunghi mesi che hanno preceduto l’approvazione del ddl Calabrò al Senato ci sono stati anche contatti con le gerarchie ecclesiastiche, perché si tratta di una voce importante nella nostra società e senza dubbio ampiamente titolata ad esprimersi su temi che così da vicino toccano il magistero della Chiesa. Abbiamo ascoltato, e poi laicamente, credenti e non credenti, ci siamo assunti la responsabilità di decidere.
Per quanto riguarda la discussione che sta per aprirsi alla Camera, ci limitiamo ad augurarci che il presidente Fini si prenda almeno il disturbo di leggere il testo del disegno di legge prima che arrivi nell’Aula che presiede, così la prossima volta si eviterà la brutta figura di andare in televisione a declamare il Catechismo per contestare il ddl Calabrò senza accorgersi che il ddl Calabrò e il Catechismo sull’accanimento terapeutico dicono la stessa identica cosa: lo vietano.
Ma con sdegno – e sottolineo con sdegno – respingiamo al mittente l’insinuazione dei nostri avversari secondo la quale sarebbe in corso una sorta di ‘scambio simoniaco’ tra il PdL e la Chiesa cattolica che vedrebbe l’approvazione della legge sul fine vita come merce di un baratto. Nel tentativo di varare un decreto per salvare la vita di Eluana Englaro è nato il Popolo della Libertà, e in questa trincea che ha unito credenti e non credenti ha cementato la sua identità e definito il suo orizzonte. Noi abbiamo sempre portato avanti con coerenza e convinzione i nostri principi, che sono quelli del popolarismo europeo, e così continueremo a comportarci. Non ci faremo condizionare né intimidire dalle insinuazioni di chi fino a ieri predicava contro la morale e oggi si scopre moralista per convenienza. Non accetteremo che ad accusare il PdL di strumentalizzare la Chiesa siano coloro che dentro e fuori le Aule parlamentari, nei giorni drammatici del caso Englaro e in quelli concitati della legge sul testamento biologico, l’hanno accusata di ingerenza e avrebbero voluto costringerla a un aureo silenzio. Se ne desume, alla luce degli ultimi avvenimenti, che c’è chi vorrebbe che la Chiesa parlasse a comando: questo, francamente, ci sembra davvero troppo.