Firenze, la città spezzata
09 Febbraio 2008
Una cieca ottusità paesana governa da anni la Città. Cieca e ostile,
come solo un odio “provinciale” potrebbe essere, verso Firenze, verso
il suo significato e la sua bellezza che da quel significato è
inseparabile; ostilità che va persino oltre la costitutiva estraneità a
Firenze della casta dei suoi governanti, denunciata da Franco
Camarlinghi.
Non bastavano ad esprimerla l’incuria diffusa, la sporcizia in cui ci
si imbatte ad ogni angolo, la sciatteria che contrassegna quasi ogni
iniziativa pubblica, la mancanza di stile, travestita (nel migliore dei
casi) di populismo, che ci umiliano. Non bastava l’infezione prodotta
nel sacro spazio della Città da uno sregolato turismo, che indica
tuttavia alla nostra indifferenza i valori persistenti di bellezza che,
evidentemente, i nostri occhi non sanno più leggere; quel turismo che
potrebbe trovare la sua regola se fosse oggetto, ad un tempo, del
nostro riconoscimento. %3C/p>
Non bastava perché, certo, le omissioni sono frutto di passività, di
inazione; sono dei vizi sotto gli occhi di tutti. Per mostrare di
essere capace di azione, capace di virtù, il governo di Firenze impone
ora alla città, al suo nucleo sacro (per fortuna, i caratteri della
rete viaria del centro antico hanno frustrato il progetto del suo
totale e ramificato attraversamento), finalmente un “bene”, perpetrato
da anni.
Come si fossero detti: “Spezziamo in due la Città con un taglio largo e
netto, con una massa meccanica in movimento costante”; un eversivo atto
“futuristico” su grande scala, dunque, però inconsapevole, seriosamente
inteso come ordinario, buono e sensato. Quindi incontrollabile nelle
sue conseguenze pratiche e spirituali. Se infatti qualcuno avesse
deliberato l’attraversamento del centro, da parte del treno urbano, in
termini di Modernità eversiva, potremmo porre la discussione in termini
dignitosi. In un celebre manifesto del 1946 un gruppo di artisti
scriveva, neo-futuristicamente: “Le antiche immagini immobili non
soddisfano più le esigenze dell’uomo nuovo, formato nella necessità
dell’azione, nella convivenza con la meccanica, che gli impone un
dinamismo costante. L’estetica del movimento organico rimpiazza
l’estetica vuota delle forme fisse”. Ragioni e utopie invalidate dalla
storia, anche da quella dell’arte; comunque qualcosa di pensato. In
questa visione si potrebbe anche, anzi si dovrebbe, trasformare
“genialmente” Santa Maria del Fiore nella Stazione Centro; il tenditoio
di Isozaki potrebbe esserne la “porta moderna”.
Niente di trasgressivo, ovviamente, o forse qualche residuo
modernistico inconsapevole, alimenta invece la pervicacia di una
decisione che porta “lo schiaffo, il pugno” tra santa Maria Novella, il
Battistero, e San Marco. Solo la proposta di un “bene”, che incanta
qualcuno. Ma i contemporanei sono agguerriti; il recente Novecento ha
conosciuto troppe, e drammatiche, “falsificazioni del bene” perché
un’ennesima, minima (?), falsificazione ci inganni. Per questo anche
non possiamo tacere della piccola (ma non troppo) trahison che ha
indotto cólti responsabili della difesa del nostro patrimonio artistico
e studiosi di autorità a chinare il capo di fronte ai padroni della
città.
Ben oltre un secolo fa John Ruskin scriveva, col “crepacuore” per una città già in declino di senso:
“Il Battistero di Firenze è l’ultimo edificio eretto sulla terra dai
discendenti degli artefici ai quali Dedalo fu maestro; e la Torre di
Giotto è il più bello di quelli eretti sulla terra sotto l’ispirazione
degli uomini che innalzarono il tabernacolo nelle solitudini del
deserto. Di opere greche viventi esiste solo il Battistero di Firenze;
mentre, delle opere cristiane viventi, nessuna è perfetta come la Torre
di Giotto”.
L’altezza interpretativa, non importa quanto condivisibile oggi nei
suoi particolari, permetteva a Ruskin di affermare la santità del
luogo, di “quell’oasi unica sulla terra”, per la storia del mondo.
Quest’oasi simbolicamente potente, che già la mutazione borghese
postunitaria non poteva intendere, va riacquisita, assolutamente;
certo, non con “gesti” di cui non si coglie la portata, con sfregi,
“tagli”, di irrazionale modernità.
L’attraversamento del Centro non regge ad una analisi costi-benefici
che sappia cos’è costo e cos’è beneficio per Firenze. Fino a quando
tollereremo nel corpo della Città l’estraneità proterva delle nostre
amministrazioni, e la nostra stessa indolenza e quasi assuefazione al
peggio?