Il debito italiano continua a crescere ma per Renzi è tutta colpa di Bruxelles
17 Luglio 2017
di Carlo Mascio
“Chi è causa del suo mal pianga se stesso” dice il proverbio. Dalle parti del ministero dell’Economia probabilmente questo concetto ora inizia ad essere più chiaro a tutti. Soprattutto al ‘povero’ Padoan che prima ha dovuto digerire la manovra correttiva imposta dall’Ue a causa dei conti “in disordine” lasciati dal governo Renzi, e che ora ha la necessità di trovare la quadra per una manovra autunnale che si preannuncia un vero rebus. E il perché è presto detto.
Secondo alcuni rumors, rispetto alle stime iniziali, sarebbero venuti meno 3,5 miliardi di euro. In pratica, l’intero valore della manovrina varata dal governo qualche mese fa. Non bruscolini, dunque. E il buco sembra essere stato causato da alcune previsioni a dir poco sballate del ministero. A cominciare dalla “voluntary disclosure bis”, meglio nota come “collaborazione volontaria”, strumento che consente ai contribuenti che detengono illecitamente patrimoni all’estero di regolarizzare la propria posizione denunciando spontaneamente all’Amministrazione finanziaria la violazione degli obblighi di monitoraggio. Ebbene, a 15 giorni dalla chiusura dei termini, hanno aderito solo 6.500 contribuenti, contro i 27mila preventivati dal ministero. Per cui, anche con una accelerazione “last minute” delle adesioni, è molto difficile che si arrivi al 1,6 miliardi che si prevedeva di incassare.
Se a questo si aggiunge che dagli uffici della Ragioneria dello Stato si inizia a parlare di “extra costi” per le adesioni oltre le aspettative all’Ape social, ovvero l’anticipo della pensione senza costi previsto per alcune categorie disagiate e per i lavoratori precoci, e di un buco di quasi 2 miliardi causato dalla sottostima del cumulo contributivo dei professionisti che abbiano versato a diversi istituti, misura prevista dall’ultima legge di stabilità, allora è più chiaro che i conti in via XX settembre non tornano proprio per niente e il rischio che tutto questo provochi un aumento della spesa pubblica è altissimo. Per cui, non c’è niente da fare. Sembra proprio che i governi di sinistra non conoscano altro schema di politica economica che non contempli un aumento della spesa pubblica. Tendenza confermata pochi giorni fa proprio da Renzi che ha tentato di far passare come “genialata” la proposta di aumento del deficit al 2,9% per ridurre le tasse.
Ma, come abbiamo raccontato più volte, si tratta di un film già visto e, quindi, con il finale già scritto: aumentando il deficit, aumenta la spesa pubblica e, di conseguenza, per coprire il debito, aumentano le tasse. Una prova? Quando Renzi chiedeva più flessibilità all’Europa, di fatto chiedeva di essere autorizzato ad aumentare il debito pubblico. E in effetti, nei tre anni del suo governo il debito pubblico è aumentato di ben 135 miliardi di euro e così, nel 2016 abbiamo dovuto pagare 17 miliardi di tasse in più che con Monti, 50 miliardi in più che con Berlusconi (fonte Istat). Ecco perché, ora più che mai, scaricare le colpe della situazione italiana solo sull’austerity europea, equivale ad una pura arma elettorale di “distrazione di massa”, in pieno stile renziano, per tentare di coprire le disastrose responsabilità della Renzinomics fondata sul classico schema “tassa e spendi” che, in questi anni, ha mostrato tutti i suoi limiti dato che il nostro Pil continua a crescere, se tutto andrà come dicono le previsioni di Bankitalia, qualche decimale sopra un punto percentuale. Proprio per questo, i motivi per piangere non mancano di certo. Renzi e Padoan, fazzoletti alla mano, se ne facciano una ragione.