Sarkozy non cede alle proteste e va avanti con le riforme

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Sarkozy non cede alle proteste e va avanti con le riforme

Sarkozy non cede alle proteste e va avanti con le riforme

26 Novembre 2007

Un
primo dato per sgomberare il campo dalle facili semplificazioni della nostra
stampa quotidiana, spesso alla ricerca dello scoop, ma poco attenta al
significato profondo delle dinamiche di politica europea. In Francia, almeno
per il momento, nessun autunno caldo. Gli scioperi nel settore dei trasporti
sono terminati e il Presidente Sarkozy può vantare un successo di tutto
rispetto: l’apertura degli ultimi tavoli negoziali con gli «irriducibili»
ferrovieri della Sncf mostra che la riforma dei «regimi speciali» andrà in
porto. Un risultato concreto, l’immagine di una società più equa che chiede
sacrifici a tutti i suoi membri e un’opinione pubblica massicciamente schierata
dalla parte del suo Presidente (circa il 70% dei francesi ha giudicato
immotivate le ragioni dello sciopero) sono gli ingredienti principali di questa
querelle sociale.

Nonostante
l’indubbio successo dall’entourage del Presidente trapelano soddisfazione ma
non entusiasmo. Sarkozy è infatti convinto che quella sui «regimi speciali» sia
stata una singola tappa di un percorso lungo e accidentato che lo attende. Sia
concretamente che da un punto di vista simbolico il Presidente ha chiuso la
parentesi aperta da Juppé nel 1995, proseguita poi in maniera virtuosa dal
governo Raffarin nel 2003 e oggi definitivamente completata. Ma i cantieri
aperti restano molti e di grande complessità. Quello in atto è un vero e
proprio work in progress dal quale però emergono alcune interessanti
indicazioni.

La prima di queste riguarda direttamente la Presidenza della
Repubblica. Con discrezione, e lasciando operare il Ministro del Lavoro
Bertrand e il consigliere per le relazioni sociali Soubie, Sarkozy ha mostrato
di non essere quella «tigre di carta» che già qualcuno era pronto a dipingere.
Se la vertenza di questi giorni non si è tramutata nel «terzo turno
presidenziale» grande merito è dell’Eliseo e del suo inner circle che ha
messo in campo un mix virtuoso di fermezza e apertura.

La
seconda indicazione importante riguarda il futuro dell’operato di governo di Sarkozy.
Cedere sui «regimi speciali» avrebbe significato condannare alla quasi certa
sterilità i quattro anni restanti di presidenza. Al contrario il successo potrà
facilitare le riforme future. Se il primo e più odioso dei «particolarismi» è
saltato sarà ora più semplice attaccare le altre ingessature del complesso e
multiforme sistema economico-sociale transalpino.

Spostando lo sguardo dalla Presidenza, altri due dati
devono essere rilevati: uno di natura prettamente sociologica (e direttamente
legato alle dinamiche sindacali) e l’altro di matrice politica e relativo alla
situazione di profonda crisi nella quale versa l’opposizione socialista.

Le
agitazioni transalpine sono un’ottima istantanea dei cambiamenti sociologici da
tempo in atto nelle società europee post-industriali. Con uno slogan si
potrebbe affermare: dalla lotta di classe a quella tra corporazioni. Il fronte
degli scioperi non si è mostrato per nulla compatto. Da un lato ha protestato
la «minoranza radicale» (circa 500 mila addetti) dei regimi speciali,
dall’altro martedì 20 novembre sono scesi in piazza i funzionari del pubblico
impiego per opporsi ai tagli degli organici (come da promessa in campagna
elettorale sarà sostituito solo un funzionario su due che andrà in pensione) e
per la perdita di potere d’acquisto dei salari. La saldatura tra le due anime
dello sciopero non si è assolutamente realizzata. Solo il tema della perdita
del potere d’acquisto dei salari potrebbe, nei prossimi giorni, divenire motivo
di rivendicazioni sostenute dalla maggioranza dell’opinione pubblica.

Se la
prospettiva della lotta di classe sembra definitivamente messa in soffitta, lo
sciopero dei ferrovieri e dei conduttori di metropolitana ha mostrato come di
fronte all’individualismo sempre più accentuato della società post-industriale
il sindacalismo, e in particolare quello francese (in grave crisi di
rappresentatività oltre che di iscritti) finisce per frammentarsi, tramutare le
rivendicazioni una volta generali in richieste sempre più corporative e
settoriali e divenire inevitabilmente baluardo di una società sempre meno equa.

Qualche
ricaduta virtuosa la settimana di scioperi la registra comunque anche dal punto
di vista sindacale. Il leader della Cgt Thibault, vero e proprio protagonista
della vertenza del 1995 contro il governo Juppé (allora era alla testa della
Cgt-ferrovie), sembra aver compreso che la vie del compromesso e del riformismo
sono le uniche percorribili per un sindacato altrimenti destinato alla
scomparsa, stretto a sinistra dalle irriducibili minoranze di base (sempre più
frammentate ed intransigenti, basti pensare che i ferrovieri della Sncf contano
ben dieci sigle minori) e sulla sua destra da una quota crescente di iscritti
del settore privato, per nulla disposti a sostenere privilegi settoriali dopo
aver dovuto accettare i sacrifici pensionistici del 2003.

L’ultimo
dato riguarda i riflessi di questa ondata di scioperi sulla sinistra francese e
in particolare su quella socialista. Anche in questo caso la situazione è
emblematica e racchiude tutte le difficoltà del riformismo europeo posto di
fronte alle necessarie modifiche da apportare al sistema di welfare. L’atteggiamento del Ps è stato
esitante ed ondivago per lo meno tra tre differenti strategie. Cercare di
distinguersi dalle posizioni più radicali, criticando il Presidente sul metodo
e non sulla sostanza, nel tentativo di mascherare un sostegno piuttosto
massiccio del proprio elettorato alla strategia scelta da Sarkozy. Tentare di
assumere la guida dello sciopero come hanno fatto i deputati Emmanuelli e
Mélenchon, scegliendo di mettersi in competizione con la Lega rivoluzionaria di
Besançenot. O infine cercare una chimerica capitalizzazione politica
dell’ondata di scioperi, richiamandosi ad una «Grenelle del potere d’acquisto»,
come tentato dal segretario del partito Hollande. 

In
realtà il movimento sociale non è mai stato controllato dal Partito socialista.
La situazione ha finito per portare nuovamente alla ribalta i nodi irrisolti
all’indomani della sconfitta elettorale del maggio 2007. La scelta di rimandare
il dibattito su leadership, programma e organizzazione mostra oggi suoi frutti
velenosi.

E
Sarkozy, come più volte accaduto in campagna elettorale e nel corso della
«campagna acquisti» dell’ouverture, non ha perso occasione per saccheggiare
il «santuario della gauche francese», affermando in maniera sarcastica
nel suo unico intervento pubblico nel corso dei dieci giorni di scioperi:
«bisogna sapere terminare uno sciopero quando si apre la fase di negoziato». Il
copyright dell’affermazione è del leader comunista degli anni Trenta Thorez che
nel 1936, in piena epoca di Fronte popolare, ribadiva, in maniera un po’
differente: «Bisogna saper terminare uno sciopero quando la soddisfazione è
stata ottenuta». Può partire tranquillo per la Cina, l’ironico Presidente, e
preparare l’offensiva sul crollo del potere d’acquisto dei salari. Su questo
fronte, non può permettersi passi falsi.