Vi presento il signor Ikea, l’uomo che ci ha cambiato la vita

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Vi presento il signor Ikea, l’uomo che ci ha cambiato la vita

23 Dicembre 2007

Quanto l’Ikea ha trasformato la
nostra vita? Molto, moltissimo. Ha trasformato la vita anche di coloro che non
hanno mai messo piede (né mai lo metteranno) nei suoi capannoni, che non si
porteranno mai a casa le famose scatole piatte che contengono armadi o
scaffali, buffet o credenze, che non passeranno la giornata della domenica a
impazzire con istruzioni, viti e chiodi nel tentativo di montare da soli i
mobili acquistati in pezzi. Ikea nasce a metà degli anni Ottanta (e arriva a
fine anni Ottanta in Italia, a Milano) dalla fantasia di uno svedese: il signor
Ingvar Kamprad.

Prima vende fiammiferi, cartoline natalizie; poi, a un certo
punto, inventa la formula della vendita di mobili a poco prezzo e smontati nei
loro singoli componenti, in modo che l’acquirente li monti da solo.

E poi fa il
salto decisivo: inizia a produrre in proprio i mobili che vende.

La concorrenza
è talmente messa in ginocchio e preoccupata dal suo successo che pone in atto uno
sbarramento nei suoi confronti: blocca le consegne per un anno intero. Ma il
signor Ingvar Kamprad si rivolge alla produzione polacca (in epoca di Guerra
fredda!), aggira il blocco e vende sempre di più.

E’ ovvio che sul creatore dell’Ikea sia nata tutta una mitologia che lo
vuole riservatissimo, avaro, duro e rigoroso fino a essere ossessivo. Ora il
giornalista Nanni Delbecchi ha scritto questo godibile Il signor Ikea. Una favola democratica (Marsilio, Venezia, 2007):
un libro che sta a metà fra il saggio e il romanzo. Delbecchi è effettivamente
l’unico giornalista italiano che sia riuscito a intervistarlo, e quindi è a lui
probabilmente che dobbiamo la parte di quella mitologia giunta anche in Italia.
Attorno a questo nucleo vero (l’intervista) lo scrittore crea il racconto, che
è invece opera di invenzione.

Il libro parla di noi consumatori, di come è cambiato il nostro modo di
acquistare da quando Ikea ha fatto irruzione sulla scena pubblica. Prima di
tutto un dato: il catalogo Ikea che arriva a casa per un numero imprecisato di
anni (e forse per sempre) a chiunque abbia acquistato anche un solo cucchiaino
da tè in un qualunque negozio Ikea, fa 174 milioni di copie ogni anno. Cifra
mostruosa che fa intendere il valore (il peso, si direbbe) globale del
prodotto.

L’intuizione del signor Ingvar Kamprad è banale, ma si può defirla così
solo a posteriori: mettere insieme il
design semplice, chiaro e rigoroso tipico dei paesi scandinavi con il low cost.

La logica  del no
frills
pervade infatti il mondo Ikea fino a coincidere totalmente con esso:
la filosofia è quella di dare tutto ciò che offre una grande firma nel campo
dell’arredamento di interni, ma a prezzi da supermercato ultra-popolare. Per
raggiungere questo scopo, bisogna tagliare tutti i frills, appunto: individuazione e scelta del prodotto sugli
scaffali (spesso lo scoglio più duro), trasporto, disinballaggio, montaggio,
persino a volte verniciatura, tutto è a carico di chi acquista. Per compensarlo
della fatica che dovrà fare, l’acquirente ha il permesso di sognare quanto
vuole, non tanto nel negozio (grande, sterminato, confuso%2C perché anche qui
mancano i frills, nella fattispecie i
commessi a cui chiedere lumi) quanto sul catalogo.

Il catalogo è il vero cuore
di Ikea. Lì, infatti, è dispiegato il mondo nordico che noi non saremo mai:
freddo, pulito, nitido, lineare, pieno di bambini, pieno di bambini che vanno a
dormire alle otto di sera, in una parola perfetto. Dove Natale ha la neve e gli
inverni sono freddi, le donne bionde e slanciate e la casa è il rifugio intimo
dal lavoro e dall’esterno. Sul catalogo tutti i sogni sono possibili perché
tutti a portata di mano (cioè di tasca).

Il catalogo non offre solo mobili:
offre vere e proprie vite. Vite nette, fatte di lavoro e gioie familiari, di
bimbi biondi, di creatività femminile che si esplica in cucina e nel ricamare
le tende, in rimpatriate domestiche con gli amici, una vita fatta di ciò che si
fa fuori casa (che è poco interessante e rigorosamente non si vede: gli uffici
presentati non a caso sono deserti, mentre gli interni domestici sono pieni di
gente) e di ciò che si fa dentro casa, che invece si vede e si rivede, si
idealizza e si offre come modello.

Il catalogo ha l’abilità di rivolgersi a
tutti i membri del gruppo familiare: la donna (solleticata con stoffe e calore
domestico), l’uomo (solleticato nelle sue abilità manuali oppure nei lontani
ricordi del meccano), i figli (allettati con giochi, case che ripetono in
piccolo la grande casa proposta dall’Ikea, morbidi tappeti e colori).

Il
catalogo suppone una donna con un uomo accanto, oppure una donna molto capace
dal punto di vista pratico: in ogni caso, anche l’uomo lavora democraticamente
ai fornelli (nel catalogo, s’intende, ma forse anche nella realtà). Il catalogo
sussurra  all’orecchio di ognuno: ogni
sogno che vedi può realizzarsi, può essere tuo.

Il signor Ingvar Kamprad è stato accusato di essere avaro nella vita
pubblica e privata, tirannico con i dipendenti e perfido con i figli (che ha
diseredato finché non abbiano dimostrato di valere qualcosa), di avere avuto
simpatie naziste nella lontana gioventù: questo non fa che confermare
l’assunzione del signor Ingvar Kamprad nell’Olimpo delle persone famose. Solo
le persone famose, infatti, danno luogo a questa mitologia negativa su se
stesse, solo su di esse è divertente esercitarsi al gioco del “sarà pure un
genio, ma era cattivo con i bambini”.

Così, il fondatore dell’Ikea va ad
aggiungersi alla schiera dei Bettelheim (noto psisoanalista infantile crudele
con i suoi figli, e del resto già il padre fondatore non aveva avuto una storia
con la cognata?), degli Einstein e dei Picasso (crudeli con le svariate mogli
fino a spingerne più d’una al suicidio), delle Joan Crawford (a tal punto
crudeli con le figlie da non volerle incontrare mai più in vita): è il lato
oscuro che la stampa pop o il gossip
intellettuale si ingegna a trovare nelle persone di genio del nostro
tempo. 

Come a dire di questi modelli
irraggiungibili che anch’essi possedevano un lato che è comune a tutti gli uomini:
crudeltà, egoismo, violenza, avarizia. Geniali sì, ma anche umani, troppo
umani.