Il segreto della supremazia americana

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Il segreto della supremazia americana

Il segreto della supremazia americana

25 Dicembre 2007

L’«eccezionalismo» americano consiste in modo particolare nel
rapporto che questo popolo ha istituito con Dio: “in God we trust”, stampato
sulle banconote, più che un atto di fede è l’espressione del convincimento che
Dio stia accanto agli americani per sostenerne le battaglie. A ben vedere,
questo tipo di sensibilità non è neppure un’esclusiva americana, ma il
precipitato della cultura dei Padri fondatori, in particolare dell’élite che diede
vita alla colonia del Massachusetts, educata nella migliore tradizione British e vissuta in un’epoca, il
Seicento, di profonde lacerazioni religiose.

A questo riguardo vale forse la pena di fornire qualche
scarna informazione storica. Nel 1620, non distante dalla futura Boston,
sbarcarono i Pilgrim Fathers (Padri pellegrini)
che qui fondarono la prima colonia inglese del Nuovo Mondo. Chi erano costoro?
Un gruppo di religione puritana – con questo termine si identifica il principale
filone calvinista del mondo evangelico inglese – che aveva preso la via dal
mare a causa delle persecuzioni perpetrate a loro danno dalla Chiesa anglicana
e, dopo essersi recati in un primo tempo in Olanda (al tempo patria della
tolleranza religiosa in Europa), puntarono ad abitare una terra “vergine” per
edificare ex novo una comunità ordinata
secondo i dettami calvinisti. Come è noto, una caratteristica generale del
Protestantesimo è stata quella di recuperare concetti teologici legati ai Padri
della Chiesa (Lutero stesso era un monaco agostiniano) in contrapposizione alla
Scolastica dominante nella Chiesa cattolica all’epoca della Riforma; e accanto
a questo “ritorno a Platone a discapito di Aristotele”, sul piano scritturale, si
alimentava una rilettura dell’Antico Testamento, o almeno dei primi cinque
libri (quella parte che gli Ebrei chiamano Torah
ed i Cristiani Pentateuco) e, molto
selettivamente, di alcune parti del Nuovo (per esempio, oltre alle Lettere di
S. Paolo, il Vangelo di Matteo, prediletto dagli anglosassoni per il suo stile
“veterotestamentario”). Fra questi concetti rinvenibili nella Bibbia campeggia
certamente l’idea del patto (in inglese covenant)
del popolo dei fedeli con il proprio Dio che, iscritto nel libro della Genesi unisce
in una sensibilità solo in parte analoga ebrei e calvinisti anglosassoni.  

Ecco in sintesi spiegato come sia possibile quella che, a
prima vista, sembrerebbe una palese contraddizione: da un lato, gli Stati Uniti
sono giustamente considerati un paese senza una chiara predominanza religiosa
perché caratterizzato dal più totale pluralismo culturale; dall’altro la
presenza innegabile di una precisa sensibilità riscontrabile presso la classe
dirigente e l’élite colta che costituisce un carattere tutt’altro che
secondario dell’identità nazionale americana.

Argomenti certo non facili da divulgare al di fuori del
mondo anglosassone, dove invece escono costantemente nuovi libri su questi
argomenti: dopo Americanism di David
Gelenter, a cui questo giornale sta dedicando parecchio spazio in
corrispondenza dell’uscita dell’edizione italiana, segnaliamo ora American Gospel di Jon Meacham, edito da
Random House, nella speranza che anch’esso trovi l’attenzione di qualche
editore italiano.        

Lavorando su fonti essenzialmente storiche, l’autore ci
ricorda come tutti i presidenti americani abbiano considerato la democrazia un
dono di Dio, ricordandolo spessissimo nel loro discorso d’insediamento. “La
convivenza fra quanto scritto nella Dichiarazione d’Indipendenza, con il suo
riferimento al destino e alle ascendenze divine, e le disposizioni della
Costituzione, con i suoi ri-equilibri per evitare estremismi, rimane forse il
più brillante successo degli americani”, dice Meacham. La sua ricerca si
concentra a lungo sulla figura di Thomas Jefferson, l’estensore della
Dichiarazione d’Indipendenza, che – con stucchevole coincidenza carica di
profondi significati simbolici – è morto il 4 luglio 1826, esattamente il
giorno in cui ricorreva il cinquantesimo anniversario della nascita degli Stati
Uniti d’America. Quanto libertà e fede siano inestricabilmente legate, lo si
vede molto bene dall’illustrazione che Meacham fa della singolare fede di
Jefferson, diversa sia dal deismo illuminista che da un credo convenzionale, ma
comunque alimentata dal convincimento che, come sosteneva Thomas Paine,
“L’America è l’Atene del mondo moderno”. E in definitiva, proprio questa era la
sua fede.

Jon Meacham, American Gospel: God, the
Founding Fathers and the Making of a Nation
, Random House Trade
($15.95 – pp. 412)