Democrazia e uguaglianza politica secondo Dahl

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Democrazia e uguaglianza politica secondo Dahl

03 Gennaio 2008

Robert A. Dahl è uno degli autori che negli ultimi tempi si sono maggiormente interessati al tema della democrazia. Nel veloce libretto Sull’uguaglianza politica affronta il problema dell’uguaglianza politica, che considera la premessa fondamentale della democrazia.

Se la completa uguaglianza politica è a suo parere irraggiungibile (a causa di caratteristiche della natura umana e della società che qui non vengono ulteriormente specificate), dosi variabili di essa sono però state raggiunte in tutto il mondo: in una tabella, Dahl indica i quattro requisiti fondamentali necessari perché ci sia uguaglianza politica e, a seconda della loro presenza più o meno larga, stabilisce una classifica di democraticità dei paesi del mondo.

I requisiti sono: elezioni libere, frequenti e corrette,  libertà di espressione, fonti alternative di informazione, autonomia associativa. Dahl è convinto che il mondo nel corso degli ultimi tre secoli abbia fatto più passi avanti verso la democrazia (abbia cioè raggiunto più traguardi di uguaglianza politica) di quanti ne avevano fatti i secoli trascorsi fino ad allora.

Oltre al tema dell’uguaglianza politica, sul quale svolge considerazioni interessanti, Dahl prende in considerazione alla fine l’idea di felicità, benessere, realizzazione di sé, soddisfazione personale o come altro si voglia indicare quell’atteggiamento profondamente contento che contraddistingue solo alcune delle persone che ci circondano.

Il motivo per cui si passa dall’analisi dell’uguaglianza politica a quello della felicità non è dichiarato, ma fin qui poco male: è sempre possibile chiedersi, di fronte a una qualunque condizione politica o sociale, se coloro che ci vivono dentro si sentano più o meno felici di altri, se quella condizione dia loro maggiori possibilità di essere felici o se invece non ne tolga loro una certa parte se paragonata a una condizione diversa. Il problema è che il rapporto fra uguaglianza politica e felicità non viene affatto analizzato nel testo: semplicemente, a poche pagine dalla fine, l’autore cessa di occuparsi dei requisiti dell’uguaglianza politica, e si mette a discutere di che cosa sia la soddisfazione personale.

In particolare, è attratto dal problema se la soddisfazione si identifichi con un PIL sempre più grande o con un consumo crescente: domanda quasi retorica, dal momento che nemmeno uno studente di scuola elementare potrebbe sbagliare la risposta.

E la risposta è, ovviamente: oltre una certa soglia di benessere, un PIL più grande o un livello maggiore di consumi non cambia niente nella propria percezione di essere o non essere felici. Fra l’altro, ci chiediamo da quali fonti Dahl tragga le sue statistiche e le sue correlazioni: se per PIL e consumi non è difficile trovare dati utili, da dove mai avrà tratto i dati necessari ad affermare quale percentuale di americani, italiani o australiani si sente soddisfatta di sé? Anche questo, però, alla fine importa poco, vista l’ovvietà della risposta fornita.

E’ francamente discutibile la contrapposizione che Dahl stabilisce tra il consumismo, che non gli piace e che giudica come una forza capace di distruggere una nazione, e l’impegno politico. Se c’è una tendenza indiscutibile delle società avanzate alle quali sia gli Stati Uniti sia l’Italia appartengono, questa è una distanza della gente comune dalla politica tanto più grande quanto il paese è più avanzato: appartiene allo stesso ordine di problemi anche l’indifferenza per le consultazioni politiche che un tempo sembrava appannaggio solo della lontana America e che invece è arrivata anche da noi, rivelandosi un tratto caratteristico di tutte le società sviluppate.

In ogni caso, ammettiamo pure che il consumismo non rappresenti quanto vi è di meglio nel nostro tempo: ma perché contrapporre al consumismo (cattivo) proprio l’impegno (buono) in vista dell’aumento dell’uguaglianza politica?

Perché non contrapporre al consumismo le passeggiate all’aria aperta, l’amore per la musica o per l’arte, la cura degli animali, il giardinaggio, la buona cucina, imparare a suonare uno strumento o a disegnare?

Perché l’impegno politico – e proprio in favore dell’aumento dell’uguaglianza – dovrebbe essere l’attività alla quale dedicarci invece che acquistare come dannati? Messa in questi termini, la scelta fra l’una e l’altra attività può risultare accattivante solo per un professore di politica. Chi ha detto che, anche se consideriamo la partecipazione attiva di tutti al bene comune l’attività da perseguire sopra tutte, non si contribuisca al bene comune non solo e non tanto impegnandosi in politica ma, ad esempio, cantando bene o organizzando bene un servizio o eseguendo con competenza e passione il proprio lavoro?

C’è una risposta che coloro che non amano fare attività politica (o che non considerano l’impegno politico un’alternativa positica rispetto al consumismo) potrebbero dare alla convinzione espressa da Dahl: in una società nella quale i diritti fondamentali sono rispettati, il cittadino comune affida di buon grado ai suoi rappresentanti la tutela dei suoi interessi e dei principi politici in cui crede

Se l’impegno non lo appassiona (e questa deve essere contemplata come possibilità), non ha alcun motivo, alcun obbligo, alcuna necessità di interessarsi alla  politica in prima persona. E questa sua posizione, invece che risultare rinunciataria o qualunquista, può essere interpretata invece come la miglior prova della fiducia che il sistema politico nel quale quel cittadino vive riceve da lui.

La preoccupazione dell’autore è rivolta in realtà al modo in cui l’uguaglianza politica può aumentare in futuro, dal momento che vede in alcuni fattori (che analizza in particolare per gli Stati Uniti, ma che sono ben presenti anche in altre realtà) altrettanti impedimenti reali al raggiungimento di una autentica uguaglianza. A suo parere, solo un maggiore impegno politico a favore di una democrazia partecipativa può assicurare tale aumento nel futuro. Poniamoci una domanda: e se l’invocato maggiore impegno si volgesse invece a favore di altri principi politici (disuguaguaglianza, gerarchia, potere assoluto di un monarca, teocrazia, dispotismo)? Il legame fra un impegno politico invocato contro il consumismo e una maggiore uguaglianza politica come obiettivo di quell’impegno non ha alcuna necessità, alcun punto in più rispetto ad altre scelte possibili completamente diverse.

Personalmente la democrazia mi appare come il sistema politico “meno peggiore” di tutti gli altri (come ha affermato Churchill in modo assai convincente), ma questa mia preferenza non può tradursi nella convinzione non argomentata che la democrazia sia la scelta più ovvia, quasi naturale, per tutti. Il fatto che “a partire dal XVIII secolo”, come scrive Dahl, la rivendicazione dell’uguaglianza politica, un tempo sovversiva, sia stata considerata sempre più come “pressoché una ovvietà” non significa  che lo studioso di politica possa considerarla come ovvia.

La giustificazione della sua ovvietà non può venire dal fatto che i sistemi democratici sono avanzati ovunque nel mondo: non c’è stato un periodo in cui nel mondo avanzavano le dittature? In che modo un dato di fatto può trasformarsi in una prova di maggior valore?

Né può bastare la paginetta iniziale a mostrare la universale accettabilità della democrazia a preferenza di altri sistemi politici: anche perché i due principi che Dahl richiama in quella pagina (l’uguaglianza morale di tutti gli uomini e l’antiassolutismo basato sulla pari capacità di tutti di governare) potrebbero essere oggetto di discussioni senza fine. Così come senza fine potrebbe essere la discussione sugli impulsi fondamentali, le emozioni, le passioni che stanno alla base della scelta a favore dell’uguaglianza: sempre, la definizione di qualcosa di più fondamentale e più naturale della ragione o dell’abitudine, da porre alla base di un qualunque atteggiamento politico, lascia con mille dubbi e invita a mille obiezioni.

Non vorrei che sulla base di trattazioni come questa l’idea democratica finisse con il diventare antipatica a più d’uno.

 

Robert A. Dahl, Sull’uguaglianza politica, Laterza, Roma-Bari, 2007, pp. 144, 14 euro