Ma gli illustri scienziati sanno cosa scriveva il Professor Cini 40 anni fa?
15 Gennaio 2008
Siccome gli
illustri scienziati della Sapienza mettono sotto accusa il papa sostanzialmente
per una lontana citazione di Feyerabend (che – per quello che ne so – non mi
risulta proprio un devoto di padre Pio), non sarebbe il caso di andarsi a
rileggere anche quello che, quasi quarant’anni fa, scriveva sulla scienza
e i suoi limiti il promotore di tutta questa bagarre, il prof.
Marcello Cini?
Sulle colonne del “Manifesto” mensile (maggio 1970, pp. 54-55), nell’articolo
A proposito del convegno di Ariccia. Una scienza dimenticata, lo
scienziato non proprio alle prime armi (allora aveva già 47 anni) criticava
radicalmente il convegno organizzato dal PCI sulla ricerca scientifica, perché
troppo si era fatto carico del problema dello sviluppo scientifico:
che diamine! siamo in una società capitalistica!
Giuseppe
D’Alema sferzava il capitalismo italiano “per spingerlo a fare seriamente
concorrenza agli Stati Uniti” sul piano della ricerca scientifica e
tecnologica? affinché “aggredisse i settori tecnologicamente più di punta”?
Cini non capiva e disapprovava: “Sono due i casi: o si attribuisce
all’elettronica la virtù di costruire il socialismo, e allora gli Stati Uniti
sono il primo paese socialista del mondo, o si riconosce che lo sviluppo
dell’elettronica in regime capitalistico serve a rendere il capitalismo ancora
più forte, e allora non si capisce perché gli operai, i tecnici, i lavoratori
che lottano contro il capitalismo dovrebbero scaldarsi tanto per gli obiettivi
che D’Alema addita loro”. Quindi andiamoci piano con l’elettronica, perché
essa può avvantaggiare il capitale.
Ciò che il
PCI dimenticava e che Marcello Cini sussiegosamente gli ricordava, è che “la
prima e più importante scienza da sviluppare per il proletariato è “a critica
dell’economia politica”. Altro che elettronica! Nel regime capitalistico “la scienza diventa mezzo di produzione (e) dunque capitale, e in quanto tale
si contrappone come potenza esterna all’operaio e lo schiaccia, rendendolo
strumento di fini a lui estranei”.
Cini concede che il “blocco della scienza”
che alcuni suoi compagni sostenevano forse non era ipotizzabile, “soprattutto
se lo si limita a un paese così marginale, per il sistema capitalistico
mondiale, come l’Italia”, ma insomma era necessario che la “fantasia creatrice
delle masse” immaginasse un “diverso uso e sviluppo della scienza
dell’informazione e dell’elaborazione dei dati”: per esempio, essa poteva
venire stimolata “dalla necessità di porre i consigli rivoluzionari in grado di
dirigere consapevolmente i processi produttivi e di organizzare su nuove basi
il tessuto sociale”.
Un esempio di questo uso alternativo della scienza veniva indicato
– ovviamente – in Cuba, nella Cina e nel Viet Nam, dove essa si accompagnava “a
un impegno collettivo che scuote l’intera società, ad una dura lotta contro l’imperialismo
e i suoi valori, ad uno slancio ideale per costruire il socialismo”.
In quegli
anni, durante la rivoluzione culturale, milioni di intellettuali cinesi subirono
processi popolari di fronte ai quali quello contro Galileo può sembrare un
minuetto. Ma di tutto questo cumulo di follie, nessuno fra i suoi
colleghi “illuministi” ha mai chiesto conto al prof. Marcello Cini, il quale
ovviamente ha fatto carriera nella società capitalistica, formando chissà
quanti scienziati e tecnici che hanno poi contribuito al piano del capitale.
Dimenticavo:
in un altro articolo scritto all’indomani dello sbarco
americano sulla luna (che per la redazione del Manifesto altro non era
che “lo specchio di una società deforme”) il prof. Cini affermava
tranquillamente “che il programma spaziale non ha messo a punto alcun
sottoprodotto che di per sé rappresenti la soluzione di un importante problema
aperto della società contemporanea”.
Dopo aver lamentato che le applicazioni
che ne sarebbero derivate avrebbero aumentato il distacco fra paesi avanzati e
paesi arretrati, Cini concludeva: “Non c’è dubbio, a questo proposito, che il
consumo privato di elicotteri e di calcolatori verrà incrementato enormemente
in seguito all’applicazione delle innovazioni derivanti dal fall-out
spaziale. Con quale vantaggio per l’umanità è facile immaginare” (Il
satellite della luna, “il Manifesto”, settembre 1969, pp. 55-62, 57).
Dunque la rivoluzione informatica non rientrava proprio nelle previsioni e
negli auspici di questo illustre scienziato, solo desideroso di “organizzare”
secondo i suoi schemi “il tessuto sociale”: quasi sempre succede
che tipi di questo genere vengano sorpresi e smentiti dalla storia, che –
come diceva il conte di Cavour – è invece una grande improvvisatrice.
Possono,
per esempio, aversi anche delle rinascite di sensibilità religiosa, che
sparigliano i loro giochi: ma – in questo caso – c’è sempre il Sillabo o il
processo di Galileo per rinchiudersi nelle proprie ragioni e aggredire quelle
degli altri.