A Baghdad cade un piccolo muro ma può avere un grande effetto domino

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A Baghdad cade un piccolo muro ma può avere un grande effetto domino

06 Ottobre 2008

Fra tutte le notizie che giungono dall’Iraq – nuovi scontri tra curdi ed esercito turco, l’annuncio delle elezioni provinciali per il gennaio 2009, l’inizio dell’arruolamento delle milizie sunnite anti Al Qaida nelle forze governative – sicuramente quella più importante da un punto di vista simbolico è l’annuncio del primo smantellamento di uno dei tanti muri che a Bagdad divideva sciti da sunniti, e non meraviglia certo la festa popolare tra fanfare e balli che ha accompagnato l’evento.

Quando nel gennaio 2007 iniziò la nuova strategia anti insorgenza americana, uno dei problemi più gravi che il generale Petraeus si trovò ad affrontare fu il compito di far cessare i conflitti settari che stavano insanguinando l’Iraq. Nel febbraio 2006, Al Qaida aveva incrementato in modo esponenziale il conflitto interetnico, con  l’attentato che aveva distrutto la moschea di Samara, scatenando l’ira e la rappresaglia degli sciiti. I sunniti così si trovarono al centro delle attenzioni sia delle truppe del ministero degli interni sia delle varie milizie dei partiti sciti, dallo Sciri all’esercito del Mahdi di Motqada al Sadr. La situazione ovviamente divenne particolarmente critica nelle aree dove le due comunità convivevano fianco a fianco, come a Bagdah, enorme agglomerato urbano di 5-7 milioni di abitanti.

Quello che avveniva nella capitale era spaventoso: i terroristi di Al Qaida arrivavano nei quartieri sunniti, trasformavano qualche abitazione in una base operativa da cui lanciare attacchi criminali contro la popolazione civile di confessione opposta, e poi se ne andavano, lasciando i poveri civili inermi davanti alla reazione altrettanto cieca e sanguinaria degli squadroni della morte sciti. Per fermare il bagno di sangue, la fuga dall’Iraq di centinaia di migliaia di profughi, la pulizia etnica conseguente, il comando americano varò il piano "Fardh al-Qanoon" (Rinforzo della legge) che si basava su una serie di misure tese a garantire la sicurezza della popolazione civile: inaugurazione di nuove 25 stazioni di polizia, organizzazione di un comando unico per coordinare le azioni delle forze di coalizione, aumento dei servizi di intelligence e creazione di squadre miste di agenti dei servizi segreti e delle forze speciali, introduzione del porto d’armi tra la popolazione, imposizione del copri-fuoco dalle 23.00 alle 6 del mattino, censimento con strumenti biometrici della popolazione. E la costruzione di muri, barriere, cancelli, checkpoints per difendere e proteggere meglio singole aree.

Il piano all’inizio incontrò la diffidenza del capo di governo, lo scita Maliki, che vedeva nella moltiplicazione delle barriere il tentativo di togliere al controllo delle proprie forze vaste aree della città, ma la sua volontà si dovette scontrare con l’ostinazione americana che, a sua volta, si basava sull’esperienza nord irlandese. Negli anni Settanta, a Belfast, la separazione delle comunità aveva ridotto in modo notevole la violenza contro i civili. Il rischio era che le barriere si trasformassero da provvisorie a permanenti, separando di fatto i gruppi, le etnie e i clan, producendo proprio un effetto contrario da quello che le nuove misure volevano evitare: la partizione dell’Iraq secondo linee religiose.

I fatti stanno smentendo i più scettici; la surge pensata da Mac Cain, decisa da Bush, realizzata da Petraeus e organizzata sul campo dal generale Odierno ha funzionato. La nuova strategia, che ha messo al centro la sicurezza della popolazione, ha permesso di “togliere l’acqua ai pesci”, invertendo i termini della famosa massima di Mao alla base di ogni guerra di insorgenza. Una volta che la popolazione civile sunnita si è sentita protetta – anche grazie alla creazione delle squadre di autodifesa -, Al Qaida, per colpa del suo comportamento psicopatico, si è trovata isolata, messa al bando del proprio ambiente, fatto che ha permesso alle forze della coalizione di colpire in modo mirato i terroristi.

Oggi l’obiettivo politico della surge, fornire tempo alla leadership irachena per poter produrre quell’accordo tra partiti e etnie per un Iraq “stabile, sicuro, indipendente e federato” si può dire che sia stato raggiunto, almeno a leggere l’ultimo report di settembre del Ministero della Difesa statunitense. Rimane da chiedersi che cosa sarebbe successo se, invece di scegliere la soluzione di un maggiore impegno, al governo ci fossero stati i democratici con Obama. Anch’ora una volta sarebbe stata confermata una delle verità delle guerre di contro insorgenza: per l’America il primo ostacolo alla vittoria è la mancanza di pazienza. “Il progresso viene in tempi differenti e qualche volta quando meno te lo aspetti – così il generale Odierno il 25 aprile 2007 sul Los Angeles Times – e noi dobbiamo essere pazienti. Non appena le condizioni saranno più stabili, rimuoveremo le barriere e ridurremo il numero di controlli introno alla città”.