A Bassora è resa dei conti tra gli sciiti

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A Bassora è resa dei conti tra gli sciiti

31 Marzo 2008

Le notizie che provengono dal sud dell’Iraq non sembrano
suscitare molta attenzione tra gli osservatori. Gli scontri sanguinosi tra
l’esercito iracheno, appoggiato dagli americani, e le truppe dell’esercito del
Mahdi, comandato da Moqtada al Sadr, aprono invece un nuovo capitolo della
complessa strada della guerra irachena. Essi infatti segnano l’apertura del
conflitto tra i vari partiti e fazioni sciite, come prima si era assistito alla
lotta tra i diversi gruppi sunniti nel nord del paese. È una lotta per la
rappresentanza, per la legittimità, per impadronirsi del potere reale, del
monopolio delle armi e della sicurezza, non tra sciiti filoiraniani e sciiti
filoamericani. Quello cui stiamo assistendo è un conflitto voluto dal debole
potere centrale di al Maliki, dal suo partito, e dal forte Supremo Consiglio
Islamico, lo Sciri di al Hakim. Si tratta di ex alleati che ora si fronteggiano
su versanti opposti. Entrambi più simili a bande criminali organizzate che a partiti.
Ma questa, d’altra parte, è la condizione di tutte le forze politiche in Iraq.
Non è l’eccezione: ogni partito è allo stesso tempo associazione religiosa,
tribale, militare, economica, mafiosa legata ad un signore della guerra e così
via. Le stesse forze di polizia e l’esercito non sono al di sopra del conflitti
etnici, interetnici e religiosi: come sarebbe possibile infatti che ben 500
poliziotti passino, a Bassora, da un giorno all’altro dalle forze regolari ad
una milizia di partito? Altro che “infiltrati”! In poche parole, manca lo Stato.

L’attuale posizione degli americani, costretti a scegliere
tra stabilità e mantenimento dello status quo da una parte e rafforzamento del
governo legittimo dall’altra, non è facile (e forse non erano stati neppure
avvertiti dell’attacco). Quanto accade nel ricchissimo sud dell’Iraq è il segno
di una lotta per il controllo dell’area prima delle elezioni amministrative;
una lotta in cui le fazioni coinvolte cercano di prevalere con la forza. Ed è
il segno di ciò che potrebbe accadere nel centro sunnita del paese, dove ritroviamo
la stessa situazione anche se le linee di faglia qui sono religiose. Il governo
di Baghdad prima o poi dovrà decidere il da farsi nei confronti delle nuove
milizie tribali che hanno scacciato Al Qaida e ora sono finite sul libro paga
americano, con molti quadri provenienti dalle file dell’esercito di Saddam
Hussein.

In tal caso, per gli americani sarà difficile decidere con
chi schierarsi. Anche nella contrapposizione tra il governo
di Baghdad e Moqtada al Sadr, che ha avanzato in queste ore una richiesta di tregua, la scelta non è stata semplice dal punto di vista politico; entrambi
filo iraniani, il premier Al Maliki rappresenta un governo scelto attraverso
elezioni democratiche, fiore all’occhiello della strategia americana, mentre è
grazie alla tregua proclamata da Motqada al Sadr che è stato possibile
sconfiggere i seguaci di Bin Laden. Uno scontro tra i gruppi di autodifesa
sunniti, appoggiati dagli Stati Uniti, e l’esercito regolare, anch’esso
sostenuto da Washington, al comando di un governo a maggioranza sciita si
risolverebbe in un disastro. Tragedia che va evitata a tutti i costi, al prezzo
di non fissare una data di partenza per le truppe d’oltreoceano. Gli scontri
attuali sono infatti il risultato dello scarso impegno inglese e suonano da
monito per chi sostiene la tesi di un ritiro frettoloso dei soldati americani.

Alla luce della posizione dell’Iran, tuttavia, anche la
scelta tra i due partiti sciiti è tutt%E2