A Bruxelles l’Europa si gioca tutta la sua credibilità

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A Bruxelles l’Europa si gioca tutta la sua credibilità

21 Luglio 2011

Oggi i leader europei si riuniscono a Bruxelles alla disperata ricerca di una via d’uscita dell’attuale crisi economica che sta investendo l’Europa. Solo l’Europa. Si, perché il problema è tutto europeo.

Anche gli Stati Uniti, si dirà, sono in grave difficoltà perché i suoi governanti non trovano l’accordo sull’innalzamento del tetto per l’emissione di nuove obbligazioni. Facendo nostre le recenti ricerche effettuate dall’economista Nicola Persico – pubblicate sul sito lavoce.info –, infatti, quello americano è un problema puramente politico. Semmai incide su alcune logiche che il professore chiama “legal-contabili”, facilmente superabili attraverso aggiustamenti e maquillage contabili, appunto.

In America la situazione è complicata solamente dal fatto che in palio ci sono posizioni politiche sostanzialmente inconciliabili tra loro. La posta in gioco è apparentemente molto alta e l’amministrazione Obama è terrorizzata dal toccare l’argomento “spesa pubblica” – notoriamente fonte di mal di pancia per i candidati che ne fanno cenno – in un momento pre elettorale. Tuttavia, per quanto si stiano attraversando momenti di tensione al Congresso, la situazione debitoria degli Stati Uniti non è in serio pericolo e le finanze pubbliche americane non sembrano catturare l’interesse degli speculatori o suscitare particolari preoccupazioni negli investitori. Tutti aspetti che, al contrario, stanno investendo l’Europa e toccano da vicino l’Italia.

Ciò che i governanti europei sono chiamati a fare oggi a Bruxelles si riduce a un paio di iniziative che dovranno, in un primo momento, iniettare una buona dose di fiducia nei mercati e successivamente garantire la stabilità a medio termine del sistema Europa, oggi fortemente messo in discussione da più parti. Dal momento che questa è la prima vera crisi che investe in Vecchio Continente come entità univoca, organica, federata – ma non ancora completamente federale – le misure da adottare devono essere forti, decise ma, soprattutto, condivise. Quello che i mercati si aspettano è che dall’incontro di oggi gli Stati europei escano compatti e determinati alla risoluzione di un problema che, se non opportunamente arginato, potrebbe spazzare via decenni di faticosi trattati e accordi internazionali.

Il primo punto all’ordine del giorno deve per forza essere il rafforzamento di quel famigerato European Financial Stability Facility (Efsf), vale a dire l’organo – tecnicamente si tratta di un Special Purpose Vehicle (SPV) – creato nel maggio dello scorso anno, finalizzato al mantenimento della stabilità nell’area Euro attraverso l’assistenza finanziaria ai Paesi membri in difficoltà economiche. Dal momento che la crisi greca – e non solo – ne ha evidenziato alcune carenze è evidente che il potenziamento di questo importantissimo strumento debba rappresentare la priorità.

Nello specifico si richiede un rafforzamento delle banche affinché siano in grado di sostenere economicamente il paventato – ma non ancora inevitabile, stando all’opinion tedesca – default greco.

In secondo luogo i mercati auspicano per lo Efsf un maggior grado di autonomia decisionale, congiunta ad una imprescindibile indipendenza dai Paesi membri per quanto riguarda eventuali operazioni sui mercati secondari. Quest’ultima, poi, sarebbe una delle scelte decisive perché consentirebbe – sempre prescindendo dalle imponderabili prese di posizioni politiche – di sbloccare la seconda fondamentale idea che da giorni serpeggia sui quotidiani: gli E-bond di tremontiana memoria. Sembra infatti che l’idea di dare facoltà ad un’apposita agenzia europea di emettere titoli obbligazionari denominati in euro sia venuta alla luce solo ora – quando parte dei buoi sono ormai scappati. La trovata – lo ricordiamo bene – venne proposta da Giulio Tremonti tempo fa – con il sostegno del Presidente dell’eurogruppo Jean-Claude Junker – e venne considerata valida ma non immediatamente attuabile.

Oggi a Bruxelles i governanti si trovano nella condizione di non poter rinviare oltre alcune decisioni cruciali sia per il futuro di alcuni Paesi europei che per la credibilità e la sostenibilità dell’idea di un’Europa quale organismo politico ed economico. E forse questa volta sarebbe il caso che il nostro Tremonti venisse ascoltato un po’ più seriamente.