A Bruxelles l’Italia cercherà la mediazione. Prevarrà la linea morbida?

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

A Bruxelles l’Italia cercherà la mediazione. Prevarrà la linea morbida?

01 Settembre 2008

Si svolge oggi a Bruxelles l’importante vertice straordinario europeo, nel quale il presidente Sarkozy, in qualità di leader di turno dell’Ue, ha chiamato a raccolta i suoi omologhi per discutere della linea da adottare nei confronti della Russia dopo gli ultimi sviluppi della vicenda osseta-georgiana. Sull’esito del summit si rincorrono i rumors e le speculazioni giornalistiche. Decisivo sarà riscontrare se le differenti percezioni della gravità della crisi, massima per i Paesi dell’ex blocco sovietico e molto più mitigata per alcune cancellerie della vecchia Europa (l’Italia innanzitutto), riusciranno ad essere ricomposte dalla presidenza francese, evitando rovinose e spettacolari incrinature.

Di estremo interesse sarà anche valutare l’attitudine dell’Unione nei confronti dell’Ucraina, che potrebbe tramutarsi nel prossimo bersaglio privilegiato della “dottrina Putin-Medvedev” sulle aree di influenza. Peraltro il caso ben si presta a tramutarsi nella prossima crisi non solo per il desiderio di Kiev di essere accolta nelle istituzioni sopranazionali occidentali, ma anche perché dal Cremlino rivendicano diritti di ingerenza sulla regione della Crimea, a grande maggioranza russa e “prestata” da Krusciov all’Ucraina sovietica nel 1954 con sottointeso diritto di riscatto. Un gesto in direzione di Kiev da parte dei 27 è atteso ed è quantomeno opportuno. In vista del summit Ue-Ucraina del 9 settembre prossimo a Evian una dichiarazione che ribadisca il sostegno europeo all’autonomia dell’Ucraina dal pericoloso vicino russo e che ne rilanci la marcia di avvicinamento a Ue e Nato, allo stato attuale dei rapporti tra Russia e Occidente, sembra una dimostrazione di forza necessaria dopo il totale disinteresse mostrato da Mosca per il piano di pace in Georgia negoziato da Sarkozy. 

Infine, l’ipotesi di sanzioni anti-russe, evocate dal Ministro degli Esteri Kouchner e in precedenza dal britannico Miliband, è stata definitivamente esclusa. Dalla Farnesina, ma soprattutto dal Dipartimento di Stato, si sono affannati a smentire questa eventualità. La convinzione è che da una crisi regionale il livello dello scontro tra Russia e Occidente si sia oramai tramutato in problema globale, da affrontare dunque pensando al lungo periodo e a tutte le possibili ricadute che potrebbero derivare da decisioni avventate. Per il momento quindi ci si dovrebbe limitare, a livello Ue, ad una “revisione” delle relazioni con Mosca, una sorta di discontinuità da applicare già a partire dal prossimo delicato vertice strategico tra i 27 e la Russia, fissato da tempo per il 14 novembre a Bruxelles. I complicati negoziati in corso per il rinnovo degli accordi di partenariato possono tramutarsi in una buona occasione per l’Unione per ricordare a Mosca che, se la Vecchia Europa deve temere il “ricatto energetico” dell’ “orso russo”, al Cremlino difficilmente potranno gioire se i 27 dovessero scegliere la strada del congelamento delle proprie relazioni con la Russia (sia per quello che riguarda il discorso dei visti per il transito nella Ue sia per l’arrivo dei capitali europei nel ciclo economico russo). 

Se dal punto di vista fattuale la situazione è in continua evoluzione e non ci si può spingere troppo avanti in rischiose supposizioni, qualche parola può invece essere aggiunta sugli eccessi di retorica che si sono riscontrati nella lettura della crisi caucasica. Il primo eccesso è consistito nel continuo e quasi stucchevole richiamo alle ragioni della Russia “ferita e umiliata” dall’atteggiamento occidentale (e in particolare americano) nel post Guerra fredda. Illustri commentatori, italiani ma non solo, sono corsi ad elencare le varie forme di umiliazione imposte a Mosca. Che vi sia stata una condotta per certi aspetti superficiale nel riedificare il rapporto post ’91 è indubbio, ma puntare il dito solo e soltanto sugli errori euro-atlantici significa peccare di faziosità. Quando Putin alcuni mesi fa affermò che la più grande tragedia geopolitica del XX secolo era stata il crollo dell’Urss, in realtà mal celava il suo desiderio di riportare indietro l’orologio della storia. I leader del Cremlino Putin e Medvedev, e molti autorevoli analisti di questioni internazionali che insistono nel voler vedere le colpe solo da un lato, dovrebbero forse aprire un libro di storia della Gran Bretagna o della Francia e rileggersi quanto umiliante sia per una nazione vedere svanire il proprio impero. A Mosca è accaduto questo e in aggiunta si è finto di non comprendere che, con la caduta del Muro di Berlino, a crollare sarebbe stato anche il vetusto ordine di Yalta. Non umiliare Mosca significava allora permettergli di mantenere il suo impero? In realtà mentre si pecca di troppa superficialità nell’avallare punti di vista antistorici come quello sostenuto da Putin quando parla in termini catastrofici del crollo dell’impero sovietico, si finisce per eludere uno dei veri pericoli dell’attuale crisi caucasica: la balcanizzazione della regione, cioè il consolidarsi di un approccio etnico ai contenziosi territoriali fra Stati.

Il secondo eccesso di retorica riguarda il continuo richiamo all’Unione europea come soggetto imbelle di fronte alle crisi internazionali. Si potrebbe parlare all’infinito delle croniche difficoltà europee nel rapportarsi ai temi della guerra e in generale del suo eccesso di moralismo nell’affrontare le controversie geopolitiche. Ribadire tali critiche in questa particolare congiuntura è nel migliore dei casi sterile e nel peggiore ridondante. Che senso ha continuare a ripetere che l’Europa non ha una politica estera credibile e che si crogiola nel suo presentarsi come “potenza civile” per distinguersi dal “bellicoso” alleato d’oltre Atlantico? 

Senza girare troppo attorno al problema è giunto forse il momento di domandarsi se sia realmente praticabile una politica estera comune dell’Europa a 27. E il caso della crisi caucasica è davvero emblematico. Di fronte ad un contenzioso internazionale estremamente delicato, con la migliore presidenza di turno che si potesse avere, l’impressione è stata che difficilmente si sarebbe potuto fare meglio. Il vero nocciolo della questione probabilmente non è la capacità immediata di risposta comune dei 27 membri. A questa ci si può anche arrivare e con le modifiche previste nel Trattato di Lisbona probabilmente ci si giungerà. Il vero fulcro del problema risiede nella gestione dei periodi di cosiddetta “normalità”, nella lenta e quotidiana costruzione di una coerente politica estera. E da questo punto di vista i 27 si muovono assolutamente in ordine sparso e ragionano tutti ancora secondo logiche bilaterali. L’esempio russo da questo punto di vista è illuminante. L’attuale incapacità di esprimersi sull’operato di Mosca con una voce comune è frutto dei 27 rapporti bilaterali che esistono tra Russia e Paesi dell’Unione. È davvero improbabile che da visioni e punti di vista disparati emerga poi un operato conclusivo comune. 

Purtroppo allora dal vertice di Bruxelles il massimo che ci possiamo attendere è una sintesi e il minimo è un compromesso. Uno dei punti forse trascurato della crisi caucasica è proprio questo. È troppo comodo pretendere decisioni comuni in tempo di crisi quando si adottano profili autonomi in tempo di pace. A queste condizioni una politica estera comune da parte dei 27 Paesi dell’Ue non è altro che una pura chimera.