A che cosa serve che le donne imparino a leggere?
03 Febbraio 2008
Le donne devono imparare a leggere? si chiede Sylvain Maréchal nel 1801. E risponde di no: no nel modo più assoluto. Non se lo chiede in astratto: scrive un progetto di legge per vietare alle donne di imparare a leggere. Maréchal non è affatto un reazionario, un pensatore retrivo, come si potrebbe arguire da queste sue posizioni. La cosa stupirà, ma è un illuminista: vive l’ebbrezza della Rivoluzione francese, con la sostituzione del Dio cristiano con la dea Ragione, con la detronizazione dei santi dal calendario e la loro sostituzione con santi laici, uomini che si sono prodigati a vantaggio dell’umanità, con la convinzione che fosse possibile far ripartire la storia da zero, forgiare l’uomo nuovo, liberare l’umanità dal peso e dal condizionamento della religione. E’ in questo clima che Olympe de Gouges scrive le sue rivendicazioni protofemministe, richiamando con forza l’attenzione sulla condizione femminile discriminata e chiedendo parità di leggi e di diritti.
Al “problema femminile” cerca di rispondere anche Maréchal, sempre secondo i dettami della dea Ragione e secondo la correlazione settecentesca fra lusso e decadenza: e conclude che le donne non devono assolutamente imparare a leggere. Ripercorriamo le argomentazioni dell’autore, che danno luogo a una delle opere più involontariamente comiche della letteratura di ogni tempo. L’opera è stata ripubblicata quest’anno in francese a cura di Michelle Perrot, e subito tradotta in italiano a cura di Enrico Badellino. Le coordinate complete: Sylvain Maréchal, “Progetto di legge per vietare alle donne di imparare a leggere”, Archinto, Milano, 2007. Questa è l’argomentazione dell’autore: “CONSIDERANDO: Che imparare a leggere è, per le donne, qualcosa di superfluo e nocivo al loro naturale ammaestramento: è un lusso, il cui pressoché costante risultato fu la corruzione e la rovina dei costumi. (..) CONSIDERANDO: Che l’intento della natura, buona e saggia, è che le donne dedite esclusivamente alle cure domestiche si sentano onorate di tenere tra le mani, non un libro o una penna, bensì la rocca e il fuso. (..) La felicità del genere umano si fonda interamente sui costumi domestici. (..) CONSIDERANDO: Che l’erudizione di Madame Dacier le fece cambiar sesso; nelle sue dotte disquisizioni, dimenticò tutta l’amabilità del proprio. (..) DI CONSEGUENZA: La Ragione vuole (anche a costo di sembrare incivile), che le donne (nubili, maritate o vedove) non ficchino mai il naso in un libro, né impugnino mai una penna. (..) La Ragione vuole che ogni sesso stia al suo posto, e che ci resti. Le cose vanno male, quando i due sessi invadono i rispettivi campi. La luna e il sole non brillano insieme. La Ragione vuole che una donna possa votare in un’assemblea di famiglia; la Ragione disapproverebbe assai che le donne esprimessero le proprie opinioni in un dibattito dell’assemblea nazionale. Il primo dei due sessi, rappresentante naturale dell’altro, discute e decide per entrambi. La voce di una donna tra i legislatori suonerebbe fatalmente cacofonica. Che vadano al mercato, invece!” La proposta di fare un rogo con tutti i libri scritti da donne (e in nome del buonsenso!) oggi suona sinistra: “In attesa che analoga decisione venga presa per molti altri libri, tutte le opere composte da o per le donne saranno ammassate quanto prima in un unico deposito. La fiaccola della critica farà, della maggior parte di questa massa di volumi, un sacrificio purificatore in nome del buonsenso.”
Questo libretto è prezioso nel mostrare come le posizioni conservatrici, tradizionali, patriarcali, sulle donne attraversino ogni corrente, ogni schieramento, ogni idea filosofica e politica. Di fronte al pericolo della sovversione della società che deriverebbe sicuramente dalla emancipazione delle donne, di fronte alla distruzione di quel nucleo base della società che è la famiglia, ogni convinzione sul progresso dell’umanità, sull’emancipazione dell’uomo da vincoli e condizionamenti naturali e soprannaturali, sulle infinite potenzialità di un essere umano da liberare e far espandere, si rovesciano in un atteggiamento repressivo, chiuso e conservatore. Le donne che leggono sono identificate con le cortigiane avide allo stesso modo di cultura e di potere, la sete di sapere è vista come identica alla pigrizia e al disinteresse per la faccende domestiche, l’informazione non appare come un valore aggiunto della consorte, ma come l’origine di tutti i mali: è per se stesso soprattutto che l’autore teme, per la sorte dei mariti che si troveranno senza una moglie sottomessa, senza una governante provvida, senza una amante sempre dedita. Maréchal è la riprova di un punto sul quale le femministe di ieri e di oggi non si sono stancate di porre l’accento (d’accordo in questo con alcuni grandi autori come Hegel, Marx e soprattutto Engels): il cuore della società sta nella famiglia e nella sua organizzazione. E’ la divisione sessuale del lavoro che è alla base della discriminazione delle donne: e la prima divisione del lavoro avviene in famiglia, con la separazione tra lavori interni alla famiglia, di accudimento, cura e amministrazione (compiti femminili), e lavori esterni ai fini del guadagno e della protezione (compiti maschili). Anche oggi che la donna ha accesso ampiamente ai lavori esterni, non ha cessato di occuparsi di quelli interni (che sembrano spettarle per una sorta di diritto naturale, di naturale destinazione e predisposizione), con la conseguenza del doppio lavoro e di una pressione molto forte da sopportare.
Un secondo elemento rimasto invariato da allora è il legame della condizione femminile, dell’immagine della donna e della sua liberazione, con la natura: il fatto che la donna possa essere madre l’ha da sempre collegata alla naturalità assai più dell’uomo. La copia natura/cultura è un grimaldello utile per più versi a leggere la questione femminile: da una parte come collocazione ovvia della donna, dall’altra come rifiuto femminista della naturalità apparente del suo ruolo, da un lato come ripresa (da parte del pensiero della differenza ad esempio) del rapporto donna-natura, dall’altro come rifiuto della scienza e della tecnica di una parte del femminismo proprio in nome di una natura da lasciar parlare senza imposizioni.
Quando si studia l’illuminismo, quando si studia il lungo percorso di emancipazione e liberazione delle donne, si dovrebbe tenere questo progetto di legge di Sylvain Maréchal come livre de chevet.